Un orribile teschio in primissimo piano occupa tutta la copertina del disco: “Dead Man” non si potrebbe essere più chiari di così. Il 1970 è l’anno di esordio dei Black Sabbath con l’omonimo album, ai quali un certo tipo di musica deve praticamente tutto e ai quali è accostabile in un certo senso questo lavoro dei Josefus, band americana a loro contemporanea.
Se andiamo a studiare un po’ meglio la storia, ci accorgiamo che una prima versione del disco esce già nel ’69 in USA con il titolo “Get Off My Case” titolo senz’altro di minore impatto e più ammiccante ad un genere musicale in quegli anni di grido negli States. L’anno successivo, cambiando etichetta (e qualche brano), i Josefus danno alla luce il loro LP “Dead Man”, lavoro che mescola blues, south rock, hard rock e in alcuni tratti raggiunge perfino la psichedelia (senza esagerare in gorgheggi infiniti e lontani da atmosfere spaziali). I brani sono cadenzati e marchiati da riff di chitarra piuttosto grezza (mai pesante come Iommi & Co) e dalla voce particolare e calda che non lesina acuti e urlacci di tanto in tanto. Il suono è denso e pastoso (mi viene in mente “A New Day Yesterday” dei Jethro Tull, ma senza fronzoli - e con beneficio di inventario) e, se da una parte può essere un pregio che evidenzia l’anima sporca e rock d’oltreoceano, dall’altra può risultare alla lunga un sound po’ piatto e ripetitivo. Forse il difetto più evidente dell’album risiede proprio in questa mancanza di acuti davvero significativi, ovvero tanti buoni brani, alcuni ottimi, ma forse non c’è quello trainante che si fa apprezzare sopra ogni cosa e obbliga un ascolto in loop. Insomma, manca un vero e proprio singolo da classifica, “il” classico.
Tra i brani, in verità, come detto, tutti simili tra loro, sono degni di nota “Crazy Man” (classica apertura che anticipa tutto il resto), “Gimmie Shelter” (di matrice rollingstoniana), la breve ma ottima “Situation” (arricchita dal suono dell’armonica) e la conclusiva tile track “Dead Man” (lunghissima cavalcata caratterizzata da ritmi ora cadenzati ora incalzanti).
La parabola dei Josefus si eclissa di lì a poco: nello stesso anno viene rilasciato l’album “Josefus” (disco più south dalle atmosfere meno cupe) buon LP che, però, nulla aggiunge sostanzialmente a “Dead Man”, denunciando una difficoltà creativa che non permette alla band di imporsi al grande pubblico.
Nonostante tutti i limiti, i Josefus meritano più di un ascolto e va riconosciuto loro il merito per il carattere innovativo della loro proposta (dopo la quale si sono colpevolmente fermati) e della qualità più che buona della loro musica, che si fa apprezzare dagli amanti di blues, rock e magari Hard e Heavy.
Oggi è possibile reperire i due album “Josefus e “Dead Man” in doppio CD che, di fatto, raccoglie la discografia intera (live esclusi). In esso sono stati reinseriti i due brani (ingiustamente) tagliati, provenienti da “Get Off My Case” tra cui l’omonima canzone, ballata memorabile e sofferta che, per me, è il brano migliore del disco intero.
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