Qual è il confine tra arte e vita? C’è un limite da non superare quando si passa dall’una all’altra? La trama di Madeline’s Madeline esplora ampiamente questo tema. La protagonista è Madeline, una giovane attrice di straordinario talento (come lo è la sua interprete, Helena Howard) che fa parte della compagnia teatrale di Evangeline, una regista che sta organizzando uno spettacolo basato su tecniche di recitazione sperimentali di improvvisazione che ha come tema quello della malattia mentale. Il film si apre con un primo piano, un POV sfocato, in cui un’infermiera dai contorni sdoppiati, preparando una siringa, si rivolge a noi dicendo: ‘’E’ una metafora’’. Il punto di vista in questione è ovviamente quello di Madeline, che soffre davvero di un imprecisato disturbo psichiatrico, per cui assume delle medicine, che lei cerca però di non prendere, di nascosto dalla madre, Regina, una donna visibilmente nervosa e perennemente in apprensione, preoccupata per la figlia e a volte involontariamente crudele nei suoi confronti. Madeline la odia, e invece ammira profondamente Evangeline, con la quale si confida. La regista, avendo compreso il portato emotivo della ragazza, aggiunto alla sua forza espressiva, decide di integrare le sue esperienze personali nello spettacolo, trasformandolo progressivamente in uno nuovo, incentrato su Madeline – una metafora, come dice spesso.
Le figure delle tre donne protagoniste sono tutte tratteggiate con dovizia di particolari: nessuna di loro risulta piatta o superficiale, le loro psicologie sono complesse, i loro comportamenti sono difficilmente categorizzabili in ‘giusti’ o ‘sbagliati’. Il problema dell’identità artistica, centrale, si sviluppa sia nel personaggio di Madeline che in quello di Evangeline, mostrando ciò che entrambe fanno per raggiungerla, e come questo si integri nella loro personalità. Dopo essere stata invitata a casa di Evangeline ed aver messo in imbarazzo il marito con atteggiamenti provocanti, Madeline si confronta con la sua regista ed entrambe ammettono di essere insicure. In questo scambio, forse il più onesto e sincero, i loro sentimenti trovano voce. Madeline li esprime anche sul palco, in scena, a casa, per strada, ogni luogo per lei è un teatro per esibirsi, per urlare e dare sfogo a se stessa, ma è come se non riuscisse mai a dire quello che vorrebbe dire, e rimanga insoddisfatta, anche se consapevole della sua bravura.
La sequenza finale, molto intensa, rappresenta una tappa fondamentale di quel percorso, una forma di espressione artistica ma anche personale per Madeline in primis, ma anche per Evangeline, che troverà la sua architettura ribaltata.
Madeline’s Madeline si avvale moltissimo di tecniche di recitazione mutuate dal teatro: l’ensemble di Evangeline è costituito da una vera compagnia di attori teatrali, con cui sono state studiate le coreografie e esplorate le tecniche di improvvisazione. Inoltre, un ruolo fondamentale gioca la fotografia, assolutamente sperimentale, che fa uso di inquadrature frammentate, ribaltate, molto spesso, nello stile del POV iniziale, usando figure sfocate, fuori fuoco, che riflettono il punto di vista di Madeline, le sue ‘crisi’. Anche il suono coadiuva le immagini, risultando spesso rimbombante e riecheggiante, ampliando a livello auditivo la dilatazione percettiva messa in atto dalle immagini. Il risultato finale è un film molto interessante, estremamente ben fatto, e godibile sia da un amante del cinema sperimentale sia da chi apprezza o è abituato a film meno di nicchia, rappresentando un buon compromesso fra i due (se la fotografia non vi disturba troppo).
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