Esistono due fasi di Jovanotti: quella più scanzonata e criticata del "rapper" positivo anni Novanta, e quella del cantautore che si muove verso lidi più complessi e musicalmente più ampie. Sebbene all'inizio sia stato il pupillo di Cecchetto, figlio di un tipo di pop rap il più delle volte che puzzava di finto moralismo con messaggi retorici buonisti per fortuna morti presto (eccetto qualche singolo ancora oggi pompato negli stadi), negli anni Lorenzo è crescuto e ha saputo stupire, lasciando alle spalle il personaggio YE-YE che ha mandato non poche rogne al concetto di hip hop in Italia dal punto di vista del pubblico bue, e mettendo finalmente in mostra il suo vero animo, dando un senso alle parole di cui è sempre stato una sorta di "portavoce" in Italia negli ultimi 20 anni a questa parte. "L'albero", album del 1997, fu il primo capitolo di una lunga carriera ancora oggi in attività, in cui Jovanotti si dimostra interessato ad una continua ricerca musicale, tralasciando il fatto che si sta parlando sempre di un artista che si muove nel pop mainstream con talento sì, e da una parte con grande astuzia (come tutti quelli che sono al suo livello di popolarità).

"Buon Sangue" prende luce nel 2005, e più ancora che in "L'albero" l'artista si sposta verso una corrente che negli anni prenderà sempre più piede nel suo repertorio: l'elettronica. Un disco composto da 12 canzoni, in cui il concept di fondo è forte e chiaro. Ancora una volta torna a parlare dell'umanismo ma visto sotto multeplici chiavi di lettura personali, attraverso un viaggio interno in cui la musica diventa la voce dei suoi testi, dando vita ad un disco maturo, consapevole, pieno di energia e soprattutto originale. Basti pensare all'opening "Tanto(3)", mandato come singolo di lancio, per capire che i tempi di "Non m'annoio" e "Penso positivo" sono ormai lontani. Questa prima traccia è una sorta di seduta psicologica, con dei momenti all'interno del testo surreali, con un ritornello semplice ma geniale nel suo intento. La produzione è affidata a Stefano Fontana, e il risultato è una hit simpatica ma allo stesso tempo impossibile da ascoltare stando fermi, con un intermezzo rock simile ad una spirale (il video è assolutamente appropriato). Altro pezzo su questo mood è "Falla girare", un delirio di pop elettronico in cui Jovanotti rivela un misto di verità scomode e frasi fatte, il tutto avvolto da un orgia di suoni, cori, synth elettronici ed effetti da capogiro. Nel complesso una figata. Seguono su questo spessore "Penelope", "Mani in alto", "Coraggio" e "Mi disordino". La prima un brano funk rap in cui Saturnino prende ancora una volta il controllo della base musicale, per certi versi ricorda il Lorenzo dei primi dischi ma con la maturità lirica degli ultimi. La seconda è una sorta di filastrocca che abbraccia sonorità orientali nel ritornello, nel complesso non eccezionale ma godibile. La terza è un brano ballabile con elementi africani come percussioni, quasi un antipasto prima di "Safari", mentre "Mi disordino" è un brano con elementi rock, che poi sfocia in una ghost track che racchiude il senso del disco.

Jovanotti però non abbandona il suo lato più cantautoriale ispirato: infatti "Mi fido di te", altro singolo fortunato, è uno degli episodi più alti: il testo è stupendo, profondo e malinconico ma allo stesso tempo speranzoso e rassicurante, sebbene le critiche al plagio dei Red Hot Chili Peppers da parte di molti hating dell'artista. Segue "Per me" è una ballata tra la canzone d'autore e il rap, sebbene il ritornello non riuscito e una durata un po' eccessiva che la porta alla lunga ad annoiare; "La valigia", altro buon testo sebbene la musicalità non sia all'altezza, mentre "La voglia di libertà" abbraccia più le sonorità dei dischi precedenti ma passa quasi anonima. "Bruto" è musicalmente un episodio funk di tutto rispetto, ma con lo stesso problema di "La valigia". Concludo con quello che per me è il miglior episodio del disco: "Un buco nella tasca", con quella produzione che campiona i Gorillaz, e allo stesso tempo un testo finalmente all'altezza della base, oltre ad un intermezzo con una chitarra elettrica in crescendo di grande effetto. Peccato sia uno dei brani dimenticati dai fan di Jovanotti, meritevole di essere riproposto in live al posto di alcune hit becere degli ultimi anni.

Nel complesso "Buon sangue" è uno dei migliori dischi di Jovanotti, non certo un capolavoro ma si parla nel campo del pop italiano di un lavoro di tutto rispetto, che ha portato negli anni nel suo repertorio un bel po' di sonorità nuove su cui iniziare a muovere i suoi passi.

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