Nell'epoca d'oro dei maranza e dei paninari, epoca in cui qualsivoglia volo pindarico soleva prendere forma, foss'anche in modo immaginario, un giovine dall'aspetto volutamente sciatto, dopo aver dato il cinque a chiunque, decise di comporre un dischetto di musica leggerissima (non eterea o dannatamente implume come quella del Colapesce moderno) così da allietare i pomeriggi vacui dei giovinastri del tempo.
Egli dunque, afferra con plastica elasticità chitarra e basso, batteria e fiati, e fa uscire "La mia moto", album glamour di un'intera, evanescente, generazione. La title-track è una bomba rombante, rombante come il motore della moto del pischello che la canta, e non importa che la metafora tra la moto e la fidanzata sia di maniera e, oggi, in un mondo fluido, diremmo sessista (oibò, i nasi si storcano pure), è il ritmetto veloce ed elettrizzante la vera chiave di volta di un pezzo da sicura, e rapida, hit-parade. I fanciulli, non più fanciulli, di mezza Italia la cantano dall'alba all'imbrunire e s'invaghiscono del Giovanotto Jovanotti.
Il trittico finale è uno spasso: "Ci provo gusto", "Ci si skiaccia" e "Il capo della banda" sono pure adrenalina eightiees, fatta di suoni a metà tra il rock, appunto, maranza e lo ska della borgata sotto casa. Si pestano, con immane sudore e dolente clamore, i piedi e le mani, il ritmo sale e non si può stare fermi, esistono regole ataviche, scritte nella loquace pietra apparentemente muta, che non subiscono attacchi vandalici da parte del tempo, se il ritmo è esorbitante, tale sarà anche la reazione di chi, nel ritmo, si perde lascivamente.
Lo spirito del tempo che si rispecchia, come in una goccia di vita, in "Stasera voglio fare una festa", ah, altri mondi, forse cosmici.
Se, in fondo, "Scappa con me", ci ricorda l'esaltante virtù della gioventù, e della freschezza, come fresco è l'intero album, vera e propria sferzata d'energia in un periodo in cui regnavano incontrastanti il rock e la new wave aveva ormai esaurito le cartucce (del punk non si sapeva più nulla), è l'epocale "Vasco" ad innalzarsi financo su Urano. Trattasi, e come poteva essere diversamente, dell'attacco più feroce al mondo made in Zocca fatto di serate estreme, sostanze sospette e vite allo sbando, no, ci dice ritmando a Sanremo il proprio motto il Cherubini eterno Giovanotto, sono il sano divertimento, la moderazione nell'esagerazione e il pensare anche sulla pista da ballo il vero sballo, ohi che bello.
Difetti ve ne sono, ahimè, pezzi come "Cowboy" di leoniana memoria appaiono deboli e confusi, come anche "Bella storia", la voluttà a volte para le volontà, e il caso di due pezzi buttati un po' lì a casaccio ne è la dimostrazione.
Va detto senza indugio che fu, al di là di tutto, una bella storia.
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