Un senso di impotenza. La vita si sommerge, ti devasta e ti lascia incapace di reagire. Ogni volta che ti fermi a riflettere, torna ad assalirti con le sue brutture. Un peso insostenibile.
Sentimenti contrastanti ti dilaniano. Il desiderio di reagire e la paura, quel senso di potenza che ti ha finora impedito di vivere. Provi a raccogliere il coraggio, ma è l'aria che viene ora a mancarti. Ancora una volta sopraffatto. Uno spasmo, uno scatto nervoso.
Crolli a terra, un grido ti libera da un peso. Gli occhi spenti si riprendono lentamente. Devi scegliere. Puoi rialzarti e provarci ancora. O rimanere immobile. Attendere che il mondo si dimentichi di te.
Ian Curtis stava per diventare una leggenda vivente. Ha lucidamente scelto di limitarsi ad essere una leggenda. Ha scelto la corda ed ha accompagnato il tutto con "Idiot" di Iggy Pop. In questo disco, le sue confessioni.
Ci trascina in questi suoi pensieri, ci imprigiona. Ci invita con una voce così sorprendentemente distaccata, fredda, anzi gelida.
In "Atrocity Exhibition" le percussioni sfogano la loro frustrazione con una cavalcata tribale ed impeccabile, la chitarra è ruvida, tagliente e trafigge l'atmosfera spettrale che si viene a creare. Il canto ci invita a proseguire. "This is the way, step inside".
Un'aria rarefatta e sintetica si respira in "Isolation", molto vicina ai lavori dei futuri New Order.
È in "Passover", dove la sezione ritmica ipnotizza, affievolisce le percezioni e la chitarra torna a svegliarci con urla distorte, che arrivano i primi inequivocabili segnali della decisione di Curtis.
La ragione è descritta nella successiva "Colony", spietata descrizione di un mondo apatico e devastato da grandi mali.
E dopo l'ennesima conferma di questa visione in "A Means To The End", giunge la parte maggiormente inspirata dell'album.
L'atmosfera funerea di "Heart and Soul", dal canto sommesso ed ipnotico. "24 Hours", un alternarsi di ritmi che porta a "The Eternal", una marcia al limite della rassegnazione con un inconsolabile pianoforte ed un battito costante.
"Decades" conclude il tutto, uno sguardo di Ian, oramai fuori dai giochi, su quello che è rimasto, "the young men" che ancora arrancano nel dolore della vita.
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