Spesso un live non dà l'idea del concerto vero e proprio. "Les Bains Douches" forse si.

Cosa si capisce dei Joy in questo disco? Si capisce che un loro concerto doveva essere semplicemente essere un concerto. Nulla più. Si andava, musica sparata in faccia, e si tornava a casa. Senza compromessi, senza vie di mezzo, senza prese per il culo. Si capisce che quella dal vivo era la dimensione più adatta per i pezzi dei quattro ragazzi, la dimensione più naturale, quella più primitiva e animalesca.

"Les Bains Douches Live in Amsterdam-Eindhoven" costituisce il secondo volume di un'opera live aperta dalle registrazioni di Parigi, a mio parere leggermente più deludenti di quelle olandesi, soprattutto per la qualità del suono.

L'album esordisce con la sconvogente "Passover", in un modo sicuramente poco convenzionale per aprire un disco dal vivo. Ma "Passover" è perfetta per catapultarci in un clima di disperazione e di ansia che rimarrà pressochè costante durante tutto l'ascolto. Il pezzo forte è messo subito in seconda posizione, "New down Fades" con quel basso, quel basso pesante, potente ma sensuale, e quella chitarra, quella chitarra che dal vivo ha un suono inaspettato, fottutamente più garage. Batticuore e brividi. "Atrocity Exhibition", cosi ruvida, martellante, nevrotica, ci manda dritti nella nebbia e nel freddo di una grigia città.

Il lato b è, se vogliamo, ancora più emozionante del primo. Due marchi di fabbrica dei Joy Division come "Digital" e "Dead souls" esprimono dal vivo una natura in qualche modo celata nelle registrazioni su album, e riescono a far tornare i brividi anche a coloro che credevano conclusasi la fase della cieca adorazione. L'antidillica "Atmosphere" ha il sapore di un ultimo saluto da parte del genio che ci sta per lasciare, ed è pervasa da un glaciale e malinconico senso di fine.

A questo live gli si deve perdonare poco, solo qualche difetto nel suono, qualche piccolo errore. E a chi ascolta, per perdonare queste imprecisioni, non serve nulla; basta la nuda bellezza dei pezzi, che si commentano da soli. Sono la testimonianza diretta del dolore che scaturisce da strumenti accesi, vivi, tangibili.

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