Chi conosce il cinema di Jim Jarmusch sa dell’indissolubile legame che vi è fra l’arte del cineasta indipendente americano e la musica. Con il suo ultimo parto “Solo gli amanti sopravvivono” (uscito nelle nostre sale cinematografiche la scorsa primavera) questo legame si va ad intensificare, fosse anche solo per il fatto che uno dei due protagonisti (i due non-convenzionali-rocker-vampiri Adam/Tom Hiddleston ed Eve/Tilda Swinton) è lui stesso un musicista (la medesima penna misteriosa che ieri componeva per gli autori classici e che oggi continua il suo lavoro consacrandosi al verbo del rock), e che la musica di questo genio anonimo viene a ritagliarsi momenti di reale protagonismo lungo lo scorrere della pellicola: più che un film, un’ammaliante sequenza di video-clip onirici volti più a cullare gli occhi e le orecchie che a stimolare cuore e cervello.

Uscito (tutto sommato) soddisfatto dalla proiezione (con qualche perplessità legata ad una  certa inconsistenza di fondo e all’idea che a questo giro, più del solito, il talentuoso regista abbia preferito adagiarsi nell’esplorazione del lato più prettamente estetico della sua visione artistica), sono tuttavia tornato a casa con una certezza: che avrei fatto mia la colonna sonora.  

La quale viene accreditata all’olandese Jozem Van Wissem, con il quale Jarmusch ha già collaborato in passato, e alla nuova band del regista stesso, tali SQURL (sulla U immaginatevi i puntini della dieresi), un trio nuovo di zecca completato dai fidi Carter Logan e Shane Stoneback. Alla domanda “regge ‘sta musica una volta scollegata dal film?” posso rispondere NI. Come prodotto il dischetto è confezionato proprio bene: sospeso fra le lame di un rock acido e fumoso che contraddistingue il capitolo “americano”, e le carezze di un folk dal sapore berbero che marchia la contro-parte “nord-africana”, si mostra tanto omogeneo, coerente, ben concepito, sviluppato e bilanciato nelle sue componenti, che finisce per brillare di una sua ragion d’essere. E’ tuttavia innegabile che, private delle immagini del film, molte “scene musicali” (perché di questo si sta parlando) perdano il fascino che avevano emanato durante la visione della pellicola: comprensibile se si pensa che Jarmusch, queste tracce, l’abbia pensate, scritte e realizzate come accompagnamento (un ottimo accompagnamento) al suo ultimo lavoro.

L’album si concentra esclusivamente sulla musica composta appositamente per il film (non sono quindi state incluse diverse tracce che erano presenti nel film, per lo più chicche da intenditore della tradizione americana, passata e recente, fra cui i nomi più significativi sono quelli di Charlie Feathers, Denise LaSalle, Black Rebel Motorcycle Club, Bill Laswell), fatta eccezione per la canzone firmata dalla giovane cantante libanese Yasmine Hamdan (che fra l’altro si era meritata un corposo cameo nel film). E, come accennato, l'opera si divide in due facciate denominate “Detroit” e “Tangier”, le città ove dimorano i due tormentati protagonisti. E sebbene SQURL e Van Wissem non si precludano in più di un'occasione il gusto di condividere la scena, è ovvio che nella prima parte prevalgano gli umori elettrici e metropolitani della band di Jarmusch, e nella seconda il talento solistico del musicista olandese, concentrato nell’esplorazione dei suoni ricavabili dal suo strumento, il liuto.   

Le prime sette tracce compongono la fase più accattivante dell’operazione: dai rigurgiti noise/drone del prologo “Street of Detroit, al fantastico montare heavy/blues di “Spooky Action at a Distance” (vero high-light dell’opera – impossibile che, fra le pieghe delle corpose spirali elettriche del brano, non si materializzi nella mente il volteggiare, ripreso dall'alto, di una Tilda Swinton che balla estasiata), passando dalla “Tunnel of Love” cantata da una sguaiata Madeline Follin (voce della giovane indie-pop band statunitense Cults) e dal kraut-rock pestone à la Neu! di “Please Feel Free to Piss in the Garden”, per tutto il corso di queste sette tracce Jarmusch e i suoi (coadiuvati da Van Wissem in un paio di circostanze) edificano un rock notturno e psichedelico, parimenti inquieto e voluttuoso, tributario della tradizione del blues più sofferto, quanto dell’indie-noise più selvaggio (con risultati molti vicini alle esplorazioni rock/noir del David Lynch di “Mulholland Drive”/”Inland Empire”). E’ il mondo squisitamente vintage di Jarmusch a manifestarsi prepotentemente, rappresentato alla perfezione dalle miriadi di suppellettili che ornano il bunker-rifugio di Adam, alfiere ed estimatore di un mondo - fatto di polvere, vinili, chitarre d’epoca ed aggeggi analogici di ogni tipo - oramai in via d’estinzione, al quale Jarmusch guarda con appassionata, struggente e feticistica nostalgia.  

Le due parti dell’album, tutt’altro che scollegate, godono di una specularità strutturale che le rendono una lo specchio dell’altra (o meglio ancora, le due facce della medesima medaglia): non a caso è proprio un brano che si chiama “Streets of Tangier” ad aprire la porzione curata da Van Wissem; e la seconda traccia, come già successo con “Tunnel of Love”, viene anch’essa arricchita da una voce femminile (questa è la volta dei gorgheggi misticheggianti di una Zola Jesus in stato di grazia); il terzo brano, invece, non è altro che il reprise di “Sola Gratia” (“Sola Gratia (part 2)”, appunto) e così via fino all’esaurirsi apocalittico della settima/quattordicesima traccia “This is your Wilderness”. Più in generale, è il medesimo modus operandi che prima aveva caratterizzato i brani degli SQURL e che adesso anima le escursioni strumentali votate ad una ascesi musicale scandita dal suono ipnotico del liuto di un ispirato Van Wissem, piacevolmente perso nell’intrecciarsi labirintico dei dedali della città marocchina, città della mente e dell’anima. E’ lo stesso lisergico e tortuoso procedere/fuga verso una dimensione “altra” che non è il nostro presente abbrutito, una dimensione che se nel primo caso viene raggiunta grazie all’aiuto di espedienti “terreni”, nel secondo assume le fattezze di un viaggio spirituale. L’elettricità, gli strascichi di feedback chitarristici e i battiti degli SQURL tornano a sporcare il pizzicato delicato del musicista olandese in ben quattro episodi, come a rimarcare lo spirito di coesione che caratterizza l’intera opera: un flusso solo formalmente spezzato (ma non nella sostanza) da “Hal”, il brano della Hamdan di cui si è già accennato, il quale si cala perfettamente nel mood “esotico” respirato in questa seconda parte.

Per chi è fan del Jarmusch-regista sicuramente un acquisto obbligato, un’opera da mettere accanto all'altra importante colonna sonora con cui questa compone un ideale binomio: quella del capolavoro “Dead Man”, affidata niente meno che al talento improvvisatore e visionario di Neil Young. Per gli altri, le quattordici tracce di “Only Lovers Left Alive” rimane musica perfetta come sottofondo, specialmente per chi, come Adam, ama girovagare di notte in macchina per la propria città (che fortunatamente non è Detroit) e/o rimanere stravaccato sul divano di casa (che sfortunatamente non è quella di Adam) a “farsidiqualcosadimoltoinebriante”.

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