Tra i compositori ed esecutori di musica d'avanguardia della prima ora, lo spagnolo (canarino di nascita) Juan Hidalgo è tra i meno conosciuti anche se rimane vasta e notevole la sua produzione di opere seriali, musica concreta, esecuzioni automatiche, sperimentalismi inspirati alle varie scuole del ‘900 (comprese le stravaganze moderniste di Erik Satie) anche se alla fine opterà per la composizione basata sulla libera associazione d'idee, una forma aleatoria di far suono molto vicina al periodo aureo (e filosofico) dell'americano John Cage. Contemporaneamente si dedica all'insegnamento soprattutto in Spagna e in Canada ma anche presso la Biennale di Venezia (1976), alla fotografia, alla pittura, alla poesia e alla scrittura, ben cinque i volumi come musicologo pubblicati tra il 1957 ed il 1987, alcuni finanziati grazie al patrocino dell'autorità governativa delle Canarie, terre nelle quali continua ad essere preso seriamente in considerazione.

Tra i suoi maestri e le varie collaborazioni spiccano nomi altisonanti come Bruno Maderna, John Cage, Pierre Schaeffer, David Tudor e Walter Marchetti con il quale avvia una lunga e prolifica collaborazione nell'ambito della ricerca sonora e musicale culminata nelle varie rappresentazioni di "musica aperta" e nel progetto/festival internazionale inspirato dal movimento Fluxus denominato Zaj (1964-1992). Nelle sue patrie Isole Canarie, ma anche a Barcellona, organizza a partire dalla fine dei '50 una serie di manifestazioni totalmente dedicate alla "nuova musica" e risulta con molta probabilità il primo spagnolo a dedicarsi all'avanguardia musicale, tanto da portare nel 1957 al festival di Darmstadt "Internationale ferienkurse für Neue Musik" una sua giovanile e apprezzata composizione seriale per orchestra da camera. In Italia viene ricordato soprattutto per le varie collaborazioni con Marchetti e per quella con Demetrio Stratos al festival Re Nudo (Milano, 1974), per la partecipazione alle varie giornate di Milano Poesia e per esser stato tra gli organizzatori del "treno preparato" (Bologna, 1978) in omaggio a John Cage. Il lungimirante e compianto Gianni Sassi dell'etichetta indipendente Cramps produsse i due LP di Juan Hidalgo stampati in Italia: Tamaran "Gocce di sperma per dodici pianoforti" (1974) e Rose Sélavy (1977), in entrambi Hidalgo figura come compositore ma anche come esecutore.

Parlare di musica d'avanguardia seria (non contaminata) non è semplice, la questione è delicata ed impone un'analisi che va oltre quello che normalmente viene visto (o percepito) come il risultato; l'ascolto di un disco come "Tamaran" non vale se non si cerca d'entrare nel contesto e nella meccanica che ha contribuito alla creazione dell'opera scritta alla base. Quasi sempre chi mette nel piatto dischi come questo sono persone che oltre ad interessarsi di avanguardia cercano nel limite delle loro possibilità di ricrearla; sarò sincero: ci si diverte di più ad eseguire Tamaran che ad ascoltarne il risultato finale. Andiamo con ordine però, Hidalgo (a differenza di Stockhausen o Cage) era un personaggio politicizzato, di sinistra ovviamente; questo suggerisce che dietro allo stravagante titolo ci sia un significato ben preciso, un significato politico se vogliamo. In effetti leggendo alcune note presenti unicamente in una vecchissima edizione in CD si scopre una "sorta di mito" secondo il quale l'insieme delle dodici isole dell'arcipelago Gran Canaria (Tamaran appunto) siano sorte a seguito dell'eiaculazione di Atlante, un Dio che a quanto pare si divertiva con l'auto-eccitazione; alcune gocce di sperma cadono nel grande mare formando le note isole, da Fuerteventura a Lanzarote, da Tenerife a Roque del Este, e via dicendo. Proseguendo con la lettura delle note scritte dallo stesso Hidalgo ci si inoltra in un inesplicabile calderone di parole che sembrano più la versione moderna del mito nordico de "L'Oro Fatale" che una spiegazione razionale dell'opera. Forse Tamaran non possiede un significato esplicito ma ho voluto incaponirmi su quel sottotitolo. Dopo alcune ricerche, storiche più che musicali, penso d'aver compreso (ma non ne sono sicuro) di trovarmi di fronte ad una sorta d'omaggio alla "terra" natale che il compositore ha voluto lanciare attraverso un messaggio subliminale. Un omaggio in forma di messa in guardia a quanto pare; quasi un consiglio volto alla conservazione di una identità popolare, tribale se vogliamo, e contemporaneamente un consiglio politico onde evitare una contaminazione tra lo Stato spagnolo (all'epoca ancora governato dai "franchisti") e l'arcipelago auto-determinato del Tamaran.

Detto questo cercherò di spiegare come è stato prodotto l'intero materiale sonoro presente nell'album e diviso in due suite distinte solo per necessità correlate a fattori tecnici (lato A e lato B); dal vivo Tamaran rimane una suite unica della durata di quaranta minuti. La classica partitura (pentagrammata) è sparita, sostituita da uno schema nel quale l'asse X misura il tempo suddiviso in secondi mentre l'asse Y contraddistingue gli eventi da generare attraverso 12 pianoforti a coda, tra questi eventi compaiono anche parti di "silenzio" che si sommeranno però alle risonanze prodotte dagli eventi precedenti. Agli esecutori non è più richiesto di saper leggere la musica, essi dovranno unicamente saper usare con precisione un cronometro e saper realizzare armoniche attraverso le corde del piano. La libertà è totale dal punto di vista della scelta, qualunque nota può essere utilizzata purché venga rispettato lo schema armonico durante lo scorrere del tempo; la suddivisione nel grafico (X-Y) delle parti armoniche è contraddistinta da una serie di valori numerici, ogni numero identico deve corrispondere alla stessa nota che l'esecutore vorrà utilizzare. Ad ogni esecuzione, in codesto modo, Tamaran porterà sempre ad un risultato differente ma attenzione, al compositore non è permessa alcuna improvvisazione; il fatto che l'insieme dei suoni sia nella sostanza aleatorio non significa che il pianista sia totalmente anarchico, questi dovrà sempre basarsi sullo schema di cui sopra. Siamo dunque di fronte ad un'opera aperta, libera, ma al contempo distante dal concetto d'improvvisazione; chi conosce John Cage comprenderà più facilmente questa contraddizione. I dodici esecutori dovranno obbligatoriamente eseguire un esercizio di concentrazione al limite dell'umano: seguire lo scorrere del tempo elargito dal cronometro in maniera "millimetrica", leggere lo schema, ricordarsi le sette note prescelte ed eseguire i suoni armonici pigiando prima il dito sui tre punti (contrassegnati sempre nello schema) della corda prescelta (più il punto della frequenza fondamentale) e solo in seguito premere il relativo tasto. Gli armonici possono essere generati anche sfiorando o pizzicando le corde fermo restando che tutti e tre i punti toccati dovranno generare sempre dei sottomultipli dell'intera lunghezza della frequenza fondamentale che nello schema è contraddistinta come punto primo. Da quanto descritto si potrà facilmente capire quanto sia interessante e divertente (anche per chi non è un pianista e non conosce le note) eseguire una composizione come questa, l'ascolto è finalizzato con molta probabilità solo a misurare il grado di precisione, di concentrazione e rilassatezza degli uomini di fronte ai dodici pianoforti. Ora molti si chiederanno come sia il risultato audio finale; premesso che la versione in disco è stata realizzata in studio e non dal vivo, immaginatevi le prime opere per piano preparato di John Cage, togliete il ritmo, togliete le note, togliete le quasi impercettibili parti melodiche, toglieteci pure tutto ciò che non sia armonico, il risultato è Tamaran.

Non voto il disco ma l'opera e la concezione che sta alla base, quattro stelle soprattutto in memoria di Gianni Sassi che ha avuto il coraggio di pubblicare un album come questo in Italia.    
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