Sembra sempre strano quando i propri idoli si spingono in territori inesplorati (da loro). Ancora più strano quando a farlo sono persone tanto aggrappate alla storia quanto responsabili della storia stessa.
Non lo fanno per il successo o per il denaro, ma solamente perché si trovano nella condizione di poterlo fare... Diciamo che se lo possono permettere (o almeno credono di poterselo permettere)… Diciamo anche che, a causa di stravolgimenti interni, alcuni gruppi storici sono spronati a cambiare e a realizzare esperimenti che da tempo meditavano.
Non sempre però questo cambiamento viene accolto da tutti come un stravolgimento positivo... Molti si ritrovano a dover fare i conti con fan imbestialiti e delusi che riportano il gruppo con i piedi per terra a meditare sulle proprie scelte. Diciamolo: Indipendentemente da quanta storia positiva si possa avere alle spalle nessuno può permettersi di considerarsi intoccabile e di credere che qualsiasi cosa possa venire accolta come manna dal cielo (chi ha detto Metallica?).
Esempio eclatante di questo nell’universo dell’Heavy Metal sono stati, a cavallo del nuovo millennio, i Judas Priest.
Gruppo fondamentale per la nascita e lo sviluppo del Metal stesso, fondati 35 anni fa quando ancora il Metal era un progetto indefinito e inesplorato, accennato in parte da pochi pionieri e coraggiosi innovatori (non dirò i nomi, tutti li conoscono). I Judas Priest hanno contribuito sin dall’inizio (anche se influenzati dal Rock’n’Blues nei primi passi musicali) a creare e definire il mondo del Metal per come lo conosciamo adesso (“Sad Wings Of Destiny” 1976, viene da molti considerato il primo vero e proprio album Metal della storia).
Inutile rimarcare l’importanza storica di album e canzoni dalle quali, un po’ tutti i gruppi successivi prenderanno nomi e spunti per la loro musica... Diciamo solo che il più grande merito dei Judas Priest è stato quello di non rimarcare mai le proprie impronte, di non staticizzarsi mai su una scelta musicale ben definita evolvendo sempre il suono proposto, restando,però, sempre ancorati ad un certo stile (da loro stessi creato), cercando di ampliare e variare la loro proposta, come se avessero voluto definire in maniera minuziosa tutto l’universo dell’Heavy Metal classico dove poi tutti gli altri gruppi si sarebbero mossi... Insomma... Come un “Dio” (Metal God) che creasse il reame per i propri “figli”. In sintesi sembra che i Judas Priest abbiano creato l’Heavy Metal e abbiano (in parte) sviluppato (quasi) tutte le possibili varianti all’interno del (“classic”) Heavy Metal stesso. Nella loro carriera hanno quindi modificato la loro musica restando comunque sempre aggrappati ad una proposta musicale che hanno contribuito a formare... Questo fino al 1997.
Nel 1997, infatti, dopo anni di silenzio, dovuti alla perdita (per divergenza personali) del loro elemento più identificante (il mitico cantante Rob “The Metal God” Halford), fanno qualcosa di inaspettato... Assoldano tra le loro fila un giovanotto talentuoso dai polmoni d’acciaio (Tim “Ripper” Owens) che precedentemente militava in un gruppo cover dei Judas stessi ( i British Steel) e realizzano quello che viene considerato l’album della “discordia” con i propri fan: “Jugulator”.
La critica si spacca: chi (pochi) lo considera un capolavoro che dà nuova linfa e pone nuovi orizzonti alla musica dei Priest e chi (molti) lo boccia come un completo passo falso supplicando il ritorno del grande Rob e accusandoli di essersi venduti e perduti.
Ma come suona questo “Jugulator”? Beh, diciamo che suona “strano”... Soprattutto se rapportato a quanto fatto precedentemente dal gruppo.
In effetti bisogna subito puntualizzare una cosa: questo lavoro non appartiene (come ci avevano sempre abituato i Priest) all’universo del “classico” Heavy Metal.
È più una strana (coraggiosa) sperimentazione-contaminazione di diversi aspetti (Metal) che con il Metal classico c'entrano ben poco: parti electro-industrial, riferimenti al Thrash Metal “evoluto”con divagazioni verso una specie di Nu-Metal iper-aggressivo e tagliente... Via le cavalcate metalliche, via il rincorrersi frenetico delle due chitarre negli assoli vorticosi, via la sezione ritmica genuina e pulsante in favore di un suono più “moderno” e, in un certo senso, molto più cattivo, violento ed “affilato” (con cambi di tempo serrati e un incredibile e sottolineatissimo lavoro di batteria del granitico Scott Travis)... Un suono incredibilmente compatto, potente e quadrato dove la melodia viene usata molto più moderatamente che in passato... Un suono che, devo dire, a volte (poche) ricorda da vicino quello del mastodontico “Demanufactor” dei grandi Fear Factory.
Questo era l’album che il buon Glenn Tipton (chitarrista e leader dopo l’uscita di Rob) aveva in mente da tempo e che lo stravolgimento di line-up (e il suo incredibile Super-Io) gli ha permesso di mettere in atto.
All’inizio, nel lontano 1997, devo dire che l’album mi piacque molto... Non avevo mai sentito i Priest così feroci e tecnici e il nuovo cantante mi aggradava parecchio... Poi, però, con l’andare del tempo, il mio entusiasmo andò scemando sempre più... Diciamo che capii il vero valore di questo disco.
Con questo non voglio dire che sia un brutto disco, e mi discosto assolutamente da quelli che affermano che sia solamente “autentica spazzatura”, dico solamente che, per il mio modo di vedere, questo è un disco “usa e getta”.
Mi spiego... Dicesi disco “usa e getta” quel disco che fa dell’immediatezza e dell’impatto frontale la sua arma migliore, e che poi non riesce a mantenere le entusiasmanti aspettative scaturite dai primi ascolti, risultando sempre più scontato (molti dischi Power Metal, ad esempio, soffrono del complesso “usa e getta”).
Non per questo l’album è sterile e insipido, anzi... Al suo interno possiamo trovare brani molto riusciti e decisamente accattivanti, come la devastante title-track (che mi sembrò, però, sin da subito un tentativo, non completamente riuscito, di riproporre la formula vincente di “Painkiller”) o la (lunghissima) conclusiva e dal sapore quasi “evocativo-spirituale” “Cathedral Spires”; ma anche pezzi come “Death Row” (con la memorabile telefonata iniziale), “Burn In Hell” (con il suo travolgente crescendo), “Blood Stained” e “Bullet Train” (che ricordano alla lontana il vecchio “Priest Stile”) riescono ad essere apprezzati per dinamismo e carica distruttiva...
Peccato che tutto questo sia indissolubilmente legato ad una notevole tendenza a strizzare l’occhio a sonorità metal-moderne che poco c’entrano con la ventennale storia del gruppo e che ancor meno si addicono alle (limitate in questo ambito) capacità dei nostri affezionatissimi... Per non parlare poi pezzi decisamente meno riusciti dove la ripetitività la fa da padrona assieme a una buona dose di noia (“Dead Meat”, “Decapitate”, “Brain Dead”, “Abductors”)... In più, anche all’interno dei momenti più riusciti, si ha l’impressione che qualcosa stoni e che si sia badato molto più alla forma (produzione stratosferica) che alla sostanza. La voce di Tim è si potente e dotata di grandissima estensione (probabilmente è addirittura migliore di quella di Rob nelle parti più basse e cupe), ma non si può paragonare a quella di Halford per interpretazione e pathos.
Sembra quasi che i Judas Priest di fine millennio, dopo essersi guardati in giro per anni e aver ascoltato con bramoso interesse le nuove e innovative proposte metal di gruppi post-thrash come i (già citati) Fear Factory, Machine Haed, Grip-Inc et similia, abbiano voluto far vedere che anche loro erano in grado di ri-proporsi e di ribadire il loro ruolo di prime donne all’interno del Metal. Peccato solamente che non ci siano riusciti, un po’ per incapacità (in quel campo) e un po’ per inadattamenteo.
Tutto questo ci porta al punto cruciale: perché quest’album risulta in definitiva un lavoro (molto) mediocre?
Diversamente da quello che pensano in molti, credo che il problema non sia da ricercare nel fatto che i Judas Priest hanno, con questo “Jugulator” cambiato stile e sonorità (sono convinto che schiere di fan avrebbero gridato allo schifo anche se fossero riusciti a confezionare un album magnifico ma non di Heavy Metal puro)... Il problema è che questo “Jugulator” è, molto semplicemente, un album poco ispirato e tragicamente inconcludente, che non offre nessun nuovo spunto e che non è nemmeno una summa di quello che potrebbe essere il Metal di fine (scorso) millennio... Questo indipendentemente dal territorio musicale (il Post-Heavy-Thrash) in cui questo lavoro si muove (sarei stato il primo ad apprezzare un riuscito cambio di genere).
Infine un monito alla copertina: ma è possibile che in sette anni di inattività e di tempo, e con tutto il lavoro per la produzione, non si sia riuscito a creare una copertina con non sembri disegnata dal mio cuginetto (posseduto)??? Probabilmente un motivo c’è... Ma a noi non è dato saperlo.
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