Anno spartiacque, il 1997. A differenza di ciò che sostengono i soliti nostalgici rimasti al 1989, gli anni Novanta sono stati un gran bel decennio per l’heavy metal, con tutta la scena estrema sugli scudi e quella più legata a sonorità heavy-power pronta a tornare alla ribalta dopo il boom dell’esordio degli Hammerfall.

Paradossalmente, quelli da un bel po’ lontani dai riflettori sono loro, i padri del genere, i Preti di Giuda e, dal 1990 del mitico Painkiller, di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta. Rob Halford è fuori dai giochi da un pezzo, perso tra i suoi progetti industrialoidi, e Glenn Tipton ha avuto tutto il tempo per pensare ad una parentesi solista, ma ormai si tratta di tornare in scena in pianta stabile. Piccola dissertazione: a Birmingham, a fine anni Sessanta, se non volevi fare l’operaio come tuo padre e come tuo nonno prima di lui, l’unica era davvero di prendere in mano una chitarra e sperare che ti andasse bene. Chiedere agli amici del Sabba Nero per conferma. Tornando a noi: per Rob i Priest sono ormai un capitolo chiuso, con buona pace di chi ci sperava ancora. Si cerca un nuovo cantante? Ovvio, ma sostituire una figura così iconica non sarà certo cosa facile. A tirare i Preti fuori dai guai ci pensa il giovane Tim Owens, giovanotto a stelle e strisce con un passato in tali Winter’s Bane, con un disco all’attivo e una carriera da… gruppo tributo ai Judas Priest! A ripensarci furono anni un po’ spiazzanti, quelli. Quanti nomi storici tornarono in pista con formazioni stravolte e nuovi cantanti che andavano a sostituire autentiche istituzioni? Maiden, Sabbath, Helloween, Sepultura, giusto per dirne alcuni. Il ragazzo, comunque, è fin da subito il cavallo su cui puntare: il minimo sindacale richiesto di presenza scenica non manca ma, soprattutto, c’è un’ugola d’oro che sarebbe da pazzi farsi scappare.

Jugulator arriva nei negozi a fine anno e spiazza un po’ tutti: ok, sarebbe stato assurdo volere una copia carbone di Screaming for Vengeance, ma nessuno si sarebbe immaginato un ritorno simile. Jugulator è il figlio bastardo di Painkiller, un ragazzone tutto muscoli e steroidi con la maglietta degli Slayer e il tatuaggio dei Pantera e occhio a come gli parli perché è anche molto suscettibile. Tipton e Downing, che firmano praticamente tutto, devono davvero essersi fatti un bel ripasso di tutto il thrash e il groove di quegli anni, perché le coordinate sono quelle, con uno Scott Travis in stato di grazia che ingrana la marcia con una doppia cassa a tutto spiano. Copertina con il “solito” mostro metallico come da tradizione, giusto per ricordarti che questi non fanno reggae, e si parte col botto: Owens sciorina acuti a profusione su un bel muro di chitarre e doppia cassa a elicottero. Perché i Priest ci abbiano impiegato una vita per trovare uno come Travis resta un mistero per chiunque, sia chiaro. Insomma, il pezzo omonimo mette subito in chiaro dove si va a parare con il resto dell’album. Blood Stained è un altro pezzone, con la coppia K.K.-Glenn in grande forma e Owens che offre un saggio su cosa sia l’estensione vocale, facendo davvero i salti mortali per mostrarsi all’altezza del ruolo. Dead Meat ha il suo perché, ma risulta troppo prolisso, aspetto che di fatto caratterizza tutto il disco, così come molti lavori di quegli anni, con i vari artisti impazziti all’idea di poter scrivere avendo a disposizione gli ottanta minuti di un cd e non più i quaranta di un vinile. Peccato che però spesso ci ritrovassimo con intro infinite, passaggi a vuoto e pezzi che un tempo sarebbero rimasti in un cassetto. Buone anche Decapitate e Burn in Hell, per cui viene anche girato un video, che mette in mostra le doti della nuova formazione, ma anche qui la versione abbreviata del clip funziona meglio di quella esageratamente lunga inserita nel disco. Notevole il nuovo acquisto anche con Brain Dead, con una bella interpretazione sofferta, così come va davvero ribadito l’ottimo lavoro di Travis. Vogliamo fare ancora qualche complimento a Owens? Che dire, ottima voce, la marcia in più di questo album, ascoltare Abductors per credere. Ormai siamo in dirittura d’arrivo: anche Bullet Train viene scelto come singolo e funziona, ma il vero capolavoro del disco è Cathedral Spires, nove minuti di maratona tra atmosfere gotiche e decadenti dove, finalmente, non si pigia solo sull’acceleratore, ma si chiude in bellezza con una perla evocativa, ben strutturata e pregna di quelle melodie che avevano reso grandi i Priest negli anni Ottanta. Il vero punto debole di Jugulator? Alla lunga risulta monocorde: va bene il muro di chitarre, ma si deve anche saper cambiare registro. Di tanto in tanto aleggia il “fantasma” del Metal God? Ovvio, ma sarebbe stato impossibile altrimenti, con Downing e Tipton che si occupano di praticamente tutto: dare più spazio al nuovo arrivato non sarebbe stato male.

Di solito di Jugulator si critica l’eccessiva aggressività: vero, maggiori aperture melodiche avrebbero giovato ai brani, viste anche le potenzialità di Owens, ma sbaglia chi lo considera un lavoro a sé nella discografia della band, quasi come se i dischi precedenti fossero stati fatti con lo stampino. I Judas non hanno mai scritto due album uguali, almeno durante la loro fase artistica di maggior spessore, mostrando un’attitudine quasi progressive, con una proposta in continua evoluzione: Sin After Sin non era British Steel e Turbo non era Defenders of the Faith. Il revival, al massimo, sarebbe arrivato solo in tempi più recenti, ma dopo così tanti anni sarebbe assurdo, forse, chiedere di più.

Dopo l’album-concerto ’98 Metal Meltdown arriverà il secondo e ultimo capitolo dell’era Owens, Demolition, che verrà snobbato un po’ da tutti, aprendo le porte, per la gioia dei nostalgici, alla solita reunion con Rob, evento che sancisce la morte artistica di praticamente qualsiasi gruppo. Resta il rammarico per un cantante dotatissimo che forse i Priest stessi non furono capaci di sfruttare appieno: con gli anni Owens diventerà il prezzemolino della scena metal americana, suonando con tutti, ma forse senza mai trovare una sua vera dimensione. Jugulator, al netto dei punti deboli già discussi, resta comunque un bel disco, con un suono fresco e moderno, lontano da qualsiasi nostalgia.

Judas Priest:

  • Tim "Ripper" Owens, voce
  • K.K. Downing, chitarre
  • Glenn Tipton, chitarre
  • Ian Hill, basso
  • Scott Travis, batteria
  1. Jugulator
  2. Blood Stained
  3. Dead Meat
  4. Death Row
  5. Decapitate
  6. Burn in Hell
  7. Brain Dead
  8. Abductors
  9. Bullet Train
  10. Cathedral Spires
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