Il 1978 fu un anno particolarmente significativo per la carriera dei Judas Priest, dato che il gruppo di Birmingham, dopo la prova, poco convincente, offerta nell’album 'Sin after Sin', diede alle stampe, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, due ottimi album quali 'Stained Class' e 'Killing Machine' ('Hell Bent for Leather' nell’edizione americana), indicati da molti come le pietre angolari sulle quali si sarebbe basata la futura NWOBHM.
Soffermiamoci, in questa sede, su 'Killing Machine'. L’album inizia con la possente Delivering the Goods, contraddistinta dal cantato aggressivo di Rob Halford, in un continuo alternarsi di acuti e bassi, e dalle chitarre di Glenn Tipton e K.K. Downing: pezzo dalla struttura coesa che ha nel continuo muro sonoro creato dal gruppo il suo segno distintivo. Il brano seguente, Rock Forever, è caratterizzato da un riff di chitarra hard rock, ben accompagnato dal basso di Ian Hill e dall’ottima batteria di Les Binks, all’ultima apparizione su disco con il gruppo: il pezzo è orecchiabile, dalla struttura simil pop, ed Halford alterna i suoi proverbiali acuti con parti quasi parlate. Evening Star è un soft/hard che ripropone, nel tipico stile dei Judas Priest, la lezione dei primi Led Zeppelin, con, in più, una melodia facilmente memorizzabile ed adatta anche al pubblico radiofonico, che i Priest non hanno mai disprezzato; ottimo anche il solo centrale, con le due chitarre soliste alternate fra loro.
Territori più duri, vicini alle sonorità del coevo 'Stained Class', vengono visitati da Hell Bent for Leather, forte di una ritmica serratissima e di un cantato dalle insolite tonalità basse, in cui Halford da prova di grande duttilità e attitudine recitativa. Take on the World, quasi una risposta dei Priest a We will Rock dei Queen, è un pezzo dichiaratamente destinato alle esecuzioni live, con un’alternanza di voce solista e cori, sorretti da una batteria quasi marziale, lasciando che l’ascoltatore si identifichi nel cantante e segua il gruppo. Le canzoni successive costituiscono il cuore dell’album, che, lungi dal registrare cali di tensione, dimostra qui il suo picco qualitativo: Burnin’ Up, introdotta da alcuni sinistri sintetizzatori, si giova di una serie di riff supersonici che scoppiano nell’incalzante ritornello, con un Halford in splendida forma: ottimo il break centrale in cui i ritmi sembrano rallentare, la batteria varia continuamente i ritmi, il cantante si sofferma nel suo atipico recitato fino al solo centrale. The Green Manalishi (originariamente inclusa nel solo vinile americano, ma oggi presente nell’edizione cd), cover dei Fleetwod Mac, denuncia le ascendenze del gruppo e rivela, al contempo, la discontinuità dei Priest rispetto alla tradizione: l’hard blues viene rivisitato con una tecnica essenziale, dove nessuna nota viene sprecata, e, soprattutto, con un’attitudine nuova, che non si ravvisa in altre formazioni degli anni ’70: una concisa e compiaciuta violenza espositiva, dal tratto quasi kitsh ed estetizzante, dissimile dal nichilismo punk che emergeva in quegli anni è già lanciata verso l’edonismo degli anni ’80, di cui i Priest saranno alfieri nell’ambito hard e metal.
La seguente Killing Machine ripropone le dinamiche di Burnin’ Up, con il cantanto quasi singhiozzante di Halford e le chitarre ad eseguire delle linee serrate: un brevissimo break introduce al solo centrale, dall’evoluzione marcatamente heavy. Runnin’ Wild è una veloce cavalcata in territori prettamente heavy metal, antesignana di tanti pezzi degli Iron Maiden, seppur meno pomposa ed articolate, e vicina ai Motorhead, sebbene suonata ed eseguita con maggior classe (ma minor brutalità) della band di Ian “Lemmy” Kilmister. Before the Dawn è una ballata acustica, dal sapore malinconico, in cui il cantato di Halford risulta particolarmente dolente: splendida la melodia e la compostezza con cui il gruppo, abituato ad altre sonorità, accompagna la voce solista senza inutili appesantimenti che talvolta affliggono pezzi analoghi, ed ottimo l’assolo di chitarra centrale, in tono con lo spleen che si sente nell’ ascolto della canzone. La conclusiva Evil Fantasies, è un hard/heavy sincopato, con un tema centrale particolarmente intenso, con cui il gruppo raffigura al massimo della forma la violenza latente tipica dell’album e delle tematiche trattate nei testi.
L’edizione su cd, oltre ad offrire una versione live di Riding on the Wind, presenta anche un inedito in studio, Fight for Your Life, che altro non è se non una primitiva versione di Rock Hard Ride Free, contenuta nel successivo 'Defenders of the Faith' (1984): un pezzo splendido, inspiegabilmente escluso dall’album, di gran lunga superiore alla versione realizzata negli anni ’80 (con un differente ritornello), che segna in maniera particolarmente nitida il crossover praticato negli anni ’70 dei Priest: hard & heavy uniti nella stessa canzone, un ponte fra passato e futuro.
Si tratta, in definitiva, di una prova eccellente: diverso da 'Stained Class', forse meno uniforme e più aperto alla contaminazione fra generi, 'Killing Machine' è un album consigliato a tutti coloro che amano il rock duro, dove il feeling all’interno del gruppo emerge molto più che nelle più raffinate (ed artificiose) produzioni successive.
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