Gli anni '80 non si chiusero nel migliore dei modi per la band di Birmingham.
Dopo due lavori abbastanza discutibili, come "Turbo" e "Ram It Down" (a detta del sottoscritto un insipido antipasto al successivo capolavoro) per i Judas Priest era arrivato il momento di sfornare un altro grande album paragonabile a quelli che, tra la fine degli anni '70 e l'inizio della decade successiva, li aveva fatti entrare di diritto tra i grandi nomi dell'heavy metal mondiale.
Dopo aver sostituito il batterista Dave Holland con Scott Travis, dallo stile più potente e adatto al sentiero che la band stava per intraprendere, il gruppo si chiuse in studio con il produttore Chris Tsangarides, per uscirne con album che non solo sarebbe diventato uno dei più bei lavori della band inglese ma anche uno dei capisaldi dell'intera storia del metal.
Oltre alla bellezza delle singole canzoni l'album presentò un netto irrobustimento del suono e soluzioni che, pur rimanendo in territori tipici dell'heavy metal classico, si presentavano decisamente più estreme.Basta sentire l'iniziale title track per rendersi conto dei cambiamenti che la band aveva apportato al suo stile.La canzone, che si apre con un'esplosiva intro di sola batteria, colpisce e lascia basito l'ascoltatore per la potenza che emana, per l'accuratezza con la quale vengono gestiti i numerosi cambi di tempo e per la bravura con la quale Halford modula la sua voce, in grado di passare con totale disinvoltura da acuti lancinanti a toni più bassi.
Da qui in avanti è un susseguirsi ininterrotto di canzoni stupefacenti per potenza, incisività e cattiveria e, passando attraverso le varie "Hell Patrol", "Leather Rebel", "Nightcrawler", "A Touch Of Evil" (per citarne solo alcune) si ha l'impressione di ascoltare la metaforica avanzata di un carro armato che distrugge tutto ciò che trova sul suo cammino.Merito questo della sezione ritmica, in grado di costruire una base solida e terremotante sulla quale i due chitarristi si scambiano vicendevolmente le parti in assoli di rara efficacia metallica.Il tutto, su cui Halford fa vibrare la voce cristallina (secondo me la sua migliore interpretazione di sempre) è reso ancora più incisivo dal potente e nitido lavoro di Tsangarides, produttore di razza che, nel corso della sua carriera, ha lavorato con i nomi più disparati, dai Depeche Mode a Tom Jones a Bruce Dickinson.
Nella versione rimasterizzata del 2001 sono presenti anche due bonus track, la ballad "Living Bad Dreams" e la versione live di "Leather Rebel".Mentre la seconda non mi ha mai fatto gridare al miracolo mi sono sempre domandato come la band inglese non avesse deciso d'includere la prima nella versione originale dell'album. Si tratta infatti di un ottimo pezzo, ricco di pathos e contraddistinto da un refrain veramente ben riuscito, tranquillamente in grado di tener testa alle altre canzoni del disco.
In definitiva, per chiunque amasse l'heavy metal nella sua eccezione più pura, questo è un disco da avere assolutamente, uno di quei quattro o cinque capolavori che non possono mancare nella collezione di ogni buon metallaro.
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