Siamo nell'anno 1969 e il formidabile trio del Rock (Black Sabbath - Deep Purple Led Zeppelin) è pronto a sfornare i suoi primi capolavori. Mentre sta per uscire "Led Zeppelin I", in quel di Birmingham (UK), cominciano a muovere i primi piccoli passi le persone (meglio musicisti, perchè di questi si tratta) che inventeranno il Metal. Kenneth Downing Jr (1951), chitarrista, e Ian Frank Hill (1951) ex-contrabbassista, decidono di fondare una band. A loro si uniscono il batterista John Ellis e il cantante Al Atkins, che prende in prestito da una canzone di Bob Dylan il nome che diverrà leggenda.
Fino a questo punto sembra tutto normale: la band dopo essere appena nata, comincia a scrivere del materiale e appare destinata a suonare del normalissimo Hard Rock, ispirato in parte dagli oscuri Black Sabbath e dall'altra dai ruggenti Deep Purple e pure dalla matrice blues dei Cream. Invece il 1973 cambia tutto. Nella formazione Judas Priest entra colui che diventerà la "voce" del Metal, il ventiduenne Robert John Arthur Halford (all'epoca con lunghi capelli biondi e aspetto tipico da rocker seventies), l'ugola celestiale, la voce che tocca vette elevatissime, prima di spegnersi in cielo. Passa un anno e il tutto si completa con l'innesto della seconda chitarra Glenn Raymond Tipton (1948) e con la sostituzione di John Ellis con Alan Moore. Per la svolta finale bisognerà attendere il 1976, ma il 1974 ci regala questo discreto disco Hard Rock, che sa tanto di già sentito (dirlo oggi è ovvio, ma anche al tempo era tutto già stato fatto, suonato e scritto da altri), e cerca, senza risucirci, di mostrare qualcosa di nuovo, quella scintilla che segnerà decisamente la storia del Rock e scotterà tutto e tutti due anni più tardi.
Dire che "Rocka Rolla" sia brutto non ha molto senso, è acerbo e poco sorprendente, ma nelle poche intuizioni, mostra una genialità compositiva con pochi eguali per l'epoca e in seguito (in campo Classic Heavy Metal) senza rivali, in grado di tenere testa, al funambolico trio Halford-Tipton-Downing, ma questa è un'altra storia, in quel momento ancora molto lontana. Si faccia attenzione che la genialità compositiva presa in esame in precedenza non riguarda apertamente il disco in questione, ma negli acerbi riff e nei blueseggianti assoli di chitarra, nonchè nell'acuto e splendido cantato, si nasconde la classe di musicisti che cambieranno la storia della musica rock e non solo.
La voce di Halford non la si può confinare solamente in un ambito strettamente rock o metal, tanto è l'appeal e la classe che sono concentrate nel timbro del cantante. Canzoni classicissime dei Judas in questo vecchio e impolverato disco sono difficili da trovare, se non altro brillano di luce propria piccoli gioielli, quali la cavalcata "Diamonds And Rust" (inserita nell'occasione remaster), con i suoi riff semplici e coinvolgenti, la voce sgraziata e divina contemporaneamente, il lungo cammino di "Run To The Mill", lento incedere, con Tipton e Downing che giocano a fare Clapton e Page, Hill sugli scudi, un finale che sa tanto di King Crimson (e non solo in questo pezzo qualche richiamo progressivo è presente). "One For The Road" è il Rock come si suonava al tempo, è l'essenza di ciò che il Rock era, ed è ciò dai cui bisognerebbe imparare tutt'oggi. Nella sua monotonia, un pezzo sincero, con un ritornello che sembra dire questi sono gli anni 70.
La "title-track" è la canzone più banale e nel momento stesso la più coinvolgente di tutto il disco, un concentrato di immaturità musicale, che fà sorridere, e piace mostrando la voglia di esprimersi di una giovane band destinata a grandi cose.
Voto: 6,5
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