Considerando il periodo storico di metà-fine '800, risulta evidente che l'opera francese, orfana di Giacomo Meyerbeer, non abbia trovato un nuovo "leader" in grado di costruire sulle opulente ma solide basi lasciate da quest'ultimo, battendosi ad armi pari con gente del calibro di Verdi e Wagner. Georges Bizet è mancato troppo presto, Saint-Saens non ha mai sfondato come operista tolta Samson et Dalila, per altri brillanti, innovativi compositori l'opera non era il focus primario; ci si deve quindi "accontentare" di Jules Massenet. Ed è un gran bell'accontentarsi, credetemi: finissimo tessitore di melodie, soffice, gentile, anche molto eclettico nelle ambientazioni e nelle tematiche delle sue opere; ha avuto il merito di conservare intatto il carattere intrinseco dell'opera francese, senza mai imitare pedissequamente i modelli italiani e tedeschi. I più vi diranno che il suo capolavoro è Manon del 1884; io non sono d'accordo: pur ricca di momenti incantevoli, pur con un ruolo protagonistico assolutamente splendido, trovo Manon un po' troppo dispersiva e "smorzata" da qualche vezzosità di troppo, che non rende pienamente giustizia al lato tragico della vicenda; Werther e Thaïs, secondo me, sono nettamente superiori.
Partiamo proprio da Werther, opera meravigliosa e commovente; pur seguendo Manon a distanza piuttosto ravvicinata l'ammodernamenento formale risulta assai evidente: qui non rimane più alcuna traccia di quegli orpelli da Grand Opera ancora ben presenti nel primo, grande successo di Massenet, rispetto al quale Werther risulta molto fluida, per nulla vignettistica e perfettamente bilanciata nella sua duplice natura lirica e drammatica, idealmente racchiusa nel ruolo del protagonista. Ascoltando Werther si capisce immediatamente l'enorme infuenza di questo compositore su alcuni suoi più giovani contemporanei italiani, Cilea e soprattutto Puccini; quest'ultimo, personalmente, lo considero assai più vicino a Massenet che a Verdi, sia a livello di stile che di "magnitudine". Comunque, tornando a Werther, siamo a fine '800, un periodo in cui, nell'opera, la distinzione tra arie e recitativi si fà molto più sfumata, e i compositori ricercano un flusso musicale il più continuo possibile; Werther non fà eccezione ma si distingue per la sua particolare struttura, nettamente divisa in due tronconi.
I primi due atti, fondamentalmente, sono un dolce idillio, con una melodiosità e una cantabilità che caratterizzano anche i "recitativi", fino ai più brevi scambi di battute tra i vari personaggi e, anche perchè la vicenda si svolge in una cittadina di campagna, mi ricorda, molto, ma molto da vicino L'Amico Fritz di Mascagni, presentato giusto un anno prima. Però c'è Werther, il protagonista, personaggio molto fragile e ruolo molto lirico ma di grandissima intensità, e per questo lo considero come una sorta di controparte maschile di Cio-Cio San; i passaggi solisti più prolungati dei primi due atti sono tutti suoi, e, gradualmente, trasformano l'idillio in qualcosa di più emotivamente carico. Tuttavia, nonostante ci siano già i presupposti della tragedia, il terzo e il quarto atto si distinguono dai precedenti in maniera assai netta, con un'orchestrazione molto più sostenuta dagli ottoni invece che dagli archi e soprattutto con il profondo cambiamento del personaggio di Charlotte, che si identifica sempre più a fondo con Werther, emotivamente e anche a livello di intensità canora. Il tormentato e doloroso confronto tra i due protagonisti, che culmina con la struggente aria "Pourquoi me reveiller", è un episodio di assoluto pathos drammatico; e altrettanto toccante è l'ultimo atto che, a livello di concezione drammaturgica, riporta idealmente a Tristan und Isolde, con l'amore che si esprime pienamente e reciprocamente solo nella morte. E il fatto che a compiere il suicidio d'amore, nell'opera una prerogativa spiccatamente femminile, sia proprio Werther, probabilmente è il vero motivo per cui quest'opera, conclusa nel 1887, suscitò non poca diffidenza tra gli impresari teatrali dell'epoca e dovette attendere il 1892 per la prima.
Stupendi i preludi orchestrali del primo e dell'ultimo atto, che riassumono perfettamente i due diversi momenti drammatici e musicali dell'opera, come tutte l "arie" di Werther, "O nature, pleine de grace", "Un autre est son epoux" e "Lorsque l'enfant revient d'un voyage", in cui sono racchiuse tutte le sfaccettature di questo personaggio così complesso, poetico e toccante. Caldamente consigliata nonchè facilmente reperibile l'edizione del 1969 con Nicolai Gedda e Victoria de los Angeles, splendidi protagonisti e interpreti di grandissima intensità emotiva, voci liriche perfette per un'opera così, tragica ma poetica, equilibrata, senza alcuna affettazione e stucchevolezza; capolavoro di un eccellente artigiano.
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