Sarà provincialismo musicale, ma fa alquanto piacere quando una band italiana, dopo una ventennale carriera, riesce ad incidere per una etichetta estera interessante come la londinese Rocket Recordings (negli ultimi anni un riferimento nell'ambito psichedelico).
I reggiani Julie's Haircut sono attivi da fine '90, ma la frequentazione delle lande psichedeliche inizia a palesarsi da “After Dark, My Sweet”, e sviluppandosi nei dischi successivi, spostando progressivamente la lente verso una idea molto teutonica e libera del verbo psichedelico. Questo ultimo disco si pone a metà del guado che separava “Our Secret Ceremony” e la sua miscela di motorik sound, rock trasversale e psichedelia, da “Ashram Equinox” del 2013, caratterizzato da una architettura dei brani che favoriva il loop ciclico e meditativo, con il cantato volutamente nascosto negli anfratti di brani oggettivamente molto belli. "Invocation..." rimette un piede nella forma canzone, pur mantenendo ben aperto il terzo occhio, sempre verso Dusseldorf e Colonia. E si parte proprio con l'autobahn sound di “Zukunft”, impreziosita da un sax funzionale a tenere in carreggiata la nostra macchina mentale, similarmente a quanto accade alla più percussiva “The Fire Sermon”.
Anima duplice che affiora nell'assalto sonico di “Deluge”, che parte selvaggia come “L.A: Blues” degli Stooges, per poi ammarare su lidi ambient e meditativi, e ripartire più selvaggia di prima. Botta di adrenalina che ci voleva, e che mancava ai dischi precedenti.
Quindi un passo di lato più che avanti rispetto al passato, con l'aggiunta di momenti folk estatici (“Cycles”) e quasi devozionali (il minimalismo di “Koan” e la trance di “Salting Traces”) ad aggiungere spezie ad una ricetta che si fa sempre più curata e complessa, elevando i Julie's fra le migliori band di psichedelia in Italia (ma speriamo non solo).
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