Siamo non più di una ventina nella platea del nuovo Estragon quando partono i Julie's Haircut, della cui presenza si è saputo solo qualche giorno prima del concerto, ma chissenefrega, frega poco anche a loro d'altronde.. in sette sul palco, forse se ne capisce poco l'utilità; sopratutto per quanto concerne il terzo chitarrista e il secondo tastierista (gli Yo La Tengo, all'opposto, saranno in tre sul palco e basteranno e avanzeranno per 4 o 5), i Julie's Haircut fanno comunque capire subito quanto siano determinanti per la psichedelicamente avvolgente atmosfera che la serata si propone, riuscendoci in pieno, di creare; e dal vivo si nota subito una cosa: sono molto più '70ies di quanto non appaia nei dischi; a parte qualche evitabile eccessiva propensione verso le ormai obsolete frustate dinamiche che Mogwai e company resero stilema quasi dieci anni fa, i nostri danno prova di sapiente e molto fascinosa capacità di miscelare richiami formali della psichedelia che fu con un attitudine crossoveristica (ma molto molto tendente ad una costruzione omogenea della propria poetica) tipicamente post moderna.
Il tutto in effetti è ben rappresentato da una cover dei Can che i Julie's propongono verso la fine del set, la quale non appare affatto fuori fuoco rispetto alle proposte proprie; e cosi gli eroi di turno nostrani scorrono veloci e convincenti, e infatti non saprei davvero dirvi quanto hanno suonato in totale... 45 minuti? un'ora? boh.

Poi, poco dopo, salgono sul palco loro: James McNew è ancora più grasso di quanto mi aspettassi, ed è anche chiaramente molto timido; Georgia Hublay è terribilmente tenera, sembra una signora di altri tempi, Ira Kaplan è semplicemente un pazzo totale; ciò che sorprende fin da subito e che tanto McNew quanto sopratutto Kaplan sanno suonare di tutto, e tutto bene: già nel primo brano McNew si traveste infatti da batterista jazz, mentre Kaplan si cimenta all'organo straeffettato blaterando di un qualche "motherfucker"... poi, dopo una parentesi con McNew alla voce, già al terzo pezzo i ruoli tornano normali, con McNew al basso e Kaplan che sconvolge una povera e vecchissima Fender Jazzmaster, dando prova di una maestria chitarristica che si esplica sopratutto nella sconvolgente capacità di controllo del suono, delle dinamiche, delle atmosfere, sempre perfettamente bilanciate a seconda che il nostro canti o no, si dilunghi in sconvolti assoli sferzanti rumore dimenandosi sciamanicamente come avrebbe potuto fare solo un rocker degli anni '60, o colori dei giusti e visionari riff pezzi ormai immortali.
Fra delay, loop station, tremoli e wah, psichedelia, ragazzi, pura e semplice e magnifica... poi una parentesi più calma, con i pezzi degli ultimi album compreso assaggi del prossimo in uscita a settembre, e poi ancora rumore psichedelico, di cui il miglior esempio rimane la bellissima "Mushroom Cloud of Hiss" dal bellissimo "May I Sing With Me".. nei bis, dopo che la Hubley si cimenta al canto in un pezzo accompangato solo da (doppia) batteria, pure una cover di "Tell Me When It's Over", sì, proprio quella dei Dream Syndicate, prima del finale, forse il migliore possibile, di "Our Way To Fall"... inutile dire eclettici, gli Yo La Tengo sono gli Yo La Tengo: ovvero un gruppo di altri tempi, nel senso di imprevedibili e emozionanti, appassionati e appassionanti, in una parola: bellissimi.

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