E’ una notte estiva, e mentre la luna lecca pigramente le acque del lago col suo riflesso, Junior lascia che sulla spiaggia la sua chitarra strida e gorgheggi rarefatti laid-back. Mentre il cantante sul precipizio rimira lo stomaco dell’abisso nascosto dalle coltri della notte, le note si intrecciano come le dita di due innamorati al sorgere della primavera e le stelle sospirano imprigionate nella loro volta, quando arriva l’alba e il mare vomita finalmente il sole nel cielo. Proprio questo è lo spettacolo che Junior Brown osserva attentamente ogni singolo fottuto giorno della sua vita, per poi trasmutarlo in musica.
Chirarrista virtuoso che non ha bisogno di incoccare cento note al secondo alla sua chitarra per dimostrare che ci sa fare, alienato per sua natura in un’atmosfera onirica dove tutto è possibile, Junior non ha solo perfezionato un modo personalissimo di suonare la chitarra, ma se ne è addirittura costruito un nuovo tipo tutto da solo. E’ stato infatti lui a inventare e poi costruire, nel 1985 (all’inizio della sua carriera solista) la “guit-steel” double-neck guitar, un ibrido tra una classica chitarra elettrica e una lap steel guitar.
La sua voce è calda e vellutata, proveniente da una gola incendiata dai litri di whiskey, che si ingolla in solitudine in qualche polveroso saloon, dove il tempo si è fermato forse per sempre, e ristagna come il fumo dei sigari che aleggia sul soffitto. Qui la penombra regna inconstrastata e i suoi assoli fumanti rimangono a fluttuare sulle teste dei (poco raccomandabili) avventori. Qualche pigra nota di basso si stiracchia in sottofondo, mentre la linfa del sogno pervade la sua musica come fosse clorofilla in una foglia.
Country? Blues! Bluegrass? Rock? Chi più ne ha più ne metta. Tutto attraverso una dimensione temporale che ti riporta direttamente nel 1990, anno di uscita del disco. Ascoltatelo.
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