Non è mai facile parlare di cinema quando si ha a che fare con un film basato su un testo teatrale. In questi casi i rischi per il regista sono due e di tipo antitetico. Essere troppo ossequiosi nei confronti del testo originale e fare una sorta di teatro ripreso e poi proiettato al cinema, oppure al contrario snaturare troppo la narrazione, togliendole il respiro letterario che nel caso di Shakespeare è fortissimo.

In questo caso, Justin Kurzel si spinge decisamente verso la prima direzione. Questa visione di Macbeth è molto fedele al testo shakespeariano, tanto da arrivare molto vicino a due inciampi rovinosi. Da una parte il linguaggio, rispettoso delle strutture poetiche dell'originale, si arrischia qua e là verso una eccessiva complessità che rende forse meno intellegibili alcuni passaggi al pubblico meno colto. In generale il copione riesce a far coesistere chiarezza e linguaggio aulico, ma in alcuni passaggi si poteva anche semplificare leggermente. Ammirevole comunque la scelta di non svilire la preziosità del testo di Shakespeare.

Altro rischio che corre Kurzel è quello di offrire al pubblico un lavoro troppo inconsistente dal punto di vista squisitamente registico. Fino a un certo punto il rischio è forte: lunghi dialoghi, macchina fissa su due volti che parlano, pochissimi cambi di inquadratura. La sequenza della battaglia finale, con il suo rosso fuoco che diventa rosso sangue e la sua astrazione concettuale, illumina invece di una luce nuova anche i passaggi precedenti e fa riflettere sul nitore, sulla purezza stilizzata di diversi momenti. Ripensando quindi a posteriori al lavoro del regista, si riesce ad apprezzare la scelta di mantenersi fedele al testo sacrificando anche un realismo e una spettacolarizzazione che di certo avrebbero incentivato la fruizione di una parte del pubblico.

Invece Kurzel resta incorruttibile, fedele al testo: lavora di fino nei minuscoli interstizi lasciati liberi dall'incalzare dei dialoghi. E cosa ci mette? Paesaggi, ma paesaggi dell'anima in stile Valhalla Rising: radure nebbiose, distese solitarie, rappresentazioni stilizzate del mondo che trovano la giusta via di mezzo tra le semplificazioni del teatro e il gusto per la visione che è proprio del cinema. Kurzel mostra il mondo che il palco di un teatro non può mostrare, ma lo modula secondo una sensibilità poetica, che ha il suo compimento in una battaglia che battaglia non è. Scegliere di fare un finale così cromatico significa essere fedeli al testo in modo profondo e concettuale.

Certo, la grandezza di un film del genere è merito in larga parte del testo su cui si basa, questo è indubitabile. Però non è nemmeno facile far emergere la bellezza di un testo teatrale al cinema: i due linguaggi sono molto distanti, pur sembrando simili in apparenza. Kurzel, lavorando con delicatezza certosina, riesce a limare le distanze e le disomogeneità, permettendo alla potenza shakespeariana di sgorgare con forza.

Carico i commenti...  con calma