"Marinetti mangia gli spaghetti/Giorgio Dechirico beve i cappuccini..." vi ricordate questa canzone? Quella canzone che usava samples del claclson del film "Il Sorpasso" e dichiarava con una vocina infantile "Voglio Scopare/Fare L'amore/Con I ragazzi Di Trastevere...".
Beh, si tratta di "Una Giapponese A Roma", canzone cult-trash di Kahimi Karie, ragazza nipponica che dichiarava il suo amore per il nostro paese attraverso un testo in Italiano molto sgrammaticato. Era una canzone allegra, che metteva il buonumore, ebbene nel nostro paese la conosciamo praticamente solo per quel pezzo, mentre in Francia ed in Giappone lei è un'icona. Ha le carte in regola per divenire un sex-symbol, da quanto è bellissima e posseditrice di una vocetta da lolita francese, in grado di fare da sfondo sonoro a serate particolarmente speciali e languide.
Questo disco, "Trapeziste" (la cui copertina... gnam... gnam) è praticamente cantato interamente in francese ed è molto lontano dalle sonorità frivole e pop di "Una Giapponese A Roma", spiazza letteralmente in un miscuglio di generi e gusti eterogenei che non lasciano mai l'amaro in bocca: persino la lunghezza delle tracce non contribuisce all'appiattimento del disco, rendendolo noioso. Si parte infatti con "Tornado Outside", genialità ambient che riproduce dei suoni spaziali talmente simili a quelli prodotti dagli Air di "Moon Safari" da sembrar plagio. Tuttavia la canzone è riuscita e Kahimi governa la scena come solo lei sa fare: attraverso sospiri languidi e la vocetta che eccita. Si arriva, poi, alla title-track: schizofrenia free-jazz-elettronica di sette minuti, in cui finalmente la ragazza velocizza il ritmo e alza la voce. Godibile la cover del classico "Habanera", riletto in chiave moderna con fascino downtempo. Anche "Sleep" e "Tornado Inside" si rivelano ottime, anzi quasi capolavori: il primo pezzo è una tempesta di digitalismi su cui Kahimi Kaire riesce ad entusiasmare con la voce che si fa aggressiva, nel secondo è l'elettronica strumentale a prendere il sopravvento, in cui la voce della ragazza compare qua e là, realizzando un caleidoscopio di suoni davvero invidiabile.
Poco riuscite invece "Lexie", stramba incursione dal vivo in cui si ha una performance jazz non entusiasmante e "Au Marche De Saint-Ouen", canzonetta acustica in cui la voce della Kaire è totalmente dispersa in un'inascoltabile fronda di rumorismi di musica concreta. Delirante "Je Veux Un Vieux", in cui non si sa se applaudire o gettar pomodori: è una genialata che pare Louis Armstrong sotto l'effetto di acidi, ma non tanto interessante da riascoltarla una seconda volta.
Un disco riuscitissimo e ricco di personalità, in cui si mostra tutto il talento di una star che meriterebbe più attenzione anche dalle nostre parti.
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