Kaki King è stata scelta dal regista e attore Sean Penn per contribuire alla creazione della colonna sonora del film "Into the Wild" con Micheal Brook ed Eddie Vedder. Quest'ultimi hanno già pubblicato due album: quello di Brook si chiama "Into the Wild, Original Score by Michael Brook", quello di Vedder "Music from the Motion Picture Into the Wild". E Kaki King? Bèh, non circolano molte informazioni su come lei abbia lavorato a fianco degli altri due artisti e su cosa abbia esattamente composto per il film. Sta di fatto che in alcune delle suggestive scene di "Into the Wild" ci è dato di udire tra i tanti, 2 bellissimi pezzi di chitarra che personalmente appena ho sentito ho ricondotto immediatamente alla King. Questi sono "Frame" e "Doing the Wrong Thing" tratti dall'album "Legs to Make Us Longer".

"Le gambe che ci fanno più lunghi" è un album del 2004, il secondo della geniale artista dopo aver rotto il ghiaccio con "Everybody Loves You", ed un lavoro decisamente eterogeneo rispetto al primo. Basti pensare che questa volta nei ringraziamenti compaiono i nomi di ben 8 musicisti che l'hanno accompagnata nelle registrazioni.

L'album apre con "Frame", una successione di 4 o 5 accordi suonati con una chitarra acustica dal suono particolarissimo. L'atmosfera creata è subito magica, rarefatta e malinconica; sembra quasi di essere trasportati in una dimensione parallela, non per niente il pezzo è stato scelto nel capolavoro di Sean Penn per accompagnare immagini spettacolari rappresentanti paesaggi naturali come immensi campi di grano illuminati dalla luce del tramonto. Il pezzo termina con i 3 accordi iniziali suonati sulle note alte della chitarra; il suono sembra quasi quello di un arpa, è l'apice della poesia.

Tale atmosfera suggestiva viene però stroncata bruscamente e crudelmente (forse un po' troppo...) con l'attacco di "Playing With Pink Noise", sullo stesso stile di Kewpie Station. Ecco che la chitarra viene sfruttata al massimo sia dal punto di vista percussivo che melodico; le corde (come accade spesso nei pezzi di Kaki King) vengono percosse, non pizzicate e la cassa armonica funge quasi da bongo. Il pezzo tuttavia presenta anche una bellissima parte melodica, che non dura molto, nel tipico stile dell'artista con armonici e accordi di settima e nona molto profondi. Il tutto termina praticamente com'è cominciato. "Ingots" è molto più interessante; apre con un battito, probabilmente provocato dalla mano di Kaki contro la cassa della chitarra acustica, che scandisce il tempo e al quale viene successivamente sovrapposta una batteria. Il pezzo ha un ritmo coinvolgente ed un carattere molto più "Rock" (per quanto sia possibile classificare la musica di Kaki King ed in particolare di quest'album).

"Doing the Wrong Thing" è un gioiello, forse il pezzo migliore dell'album. Per la prima volta sentiamo una chitarra elettrica (naturalmente non distorta) dal suono molto caldo, che presenta le prime pigre note. Inizialmente sembra la descrizione di un luogo di quiete dove niente si muove; eppure la sensazione che presenta non è affatto di serenità, c'è un velo di malinconia e incertezza provocata dalle lunghe pause della chitarra. Poi compare una batteria suonata con le spazzole che scandisce un tempo veloce e la chitarra di Kaki si da a ripetuti arpeggi; l'incertezza diventa inquietudine. Il pezzo dal carattere a tratti drammatico, trasmette un senso di movimento, la sensazione del viaggio, del dramma interiore.

I 2 pezzi successivi "Solipsist" e "Neanderthal" sono dei "classici" che ci riportano a pezzi del primo album come "Carmine St" e "Night After Sidewalk". La novità compare in "Can the Gwot Save Us?", brano lento (molto lento) suonato con una pedal steel guitar che rievoca vaghe atmosfere da Country; particolarmente rilassanti.

Forse qualche professionista dello strumento potrà accorgersi di come la musicista in questione non abbia effettivamente alcun tipo di scuola, nessuna tecnica condivisible da un altro chitarrista. Kaki King si approciò allo strumento in un primo tempo da bambina, poi come spesso accade nei bambini si annoiò; e optò per la batteria. Quando però diversi anni più tardi le ricapitò trà le mani una vecchia chitarra acustica impolverata del padre, forse capì che con nessun'altro strumento avrebbe potuto esprimere meglio il suo talento. Cominciò a suonare basandosi solo ed esclusivamente sulle tablature che leggeva, sul suo orecchio e fantasia musicali; canzoni dei Beatles, Blur, Ellioth Smith e Pj Harvey, maturando la sua esperienza esibendosi seduta a lato di un marciapiedi o di una metropolitana a New York. Eppure in pezzi come "Lies" o "All the landslides Birds Have Seen Since the Beginning of the World" tutto questo non si direbbe affatto. Nel primo possiamo sentire un introduzione di stampo veramente "classicista" con progressioni e accordi dissonanti, i quali precedono il tema principale in stile fingerstile. Un brano veramente ben costruito, dall'aria inizialmente solenne e "aulica" che muta successivamente acquistando un carattere malinconico, "patetico", nel senso musicale del termine (una malinconia ricorrente nell'album che tuttavia non risulta affatto ripetitivo o pesante all'ascolto). "All the landslides Birds Have Seen Since the Beginning of the World" (titolo chilometrico per un brano lungo poco più di 2 minuti) mantiene e potenzia quegli elementi di serietà e solennità sentiti precedentemente, fino ad un finale ai limiti del "tetro". Tonalità minore, virtuosismi e rapidissimi arpeggi che aumentano a poco a poco di intensità.

"Magazine" è uno dei pezzi più belli ed espressivi dell'album. Sembra inizialmente "calmare le acque", ma dopo un inizio in cui la chitarra parla letteralmente, creando linee melodiche articolate ma interessantissime che producono un atmosfera piuttosto eterea e affascinante, ecco ricomparire il classico tapping e le tipiche schitarrate frenetiche che mostrano il lato più estremo e selvaggio del brano.

Infine "My Insect Life", una sorta di ballata romantica e l'unico pezzo cantato, o meglio sussurrato, da Kaki King. Un brano delicato, intimista, accompagnato da contrabbasso, una leggerissima batteria, degli archi, una chitarra slide sovrincisa e infine da questa vocina sottile e debole che tuttavia desta un certo interesse, un certo fascino misterioso. Per chi avesse la pazienza di attendere pochi minuti dalla fine dell'ultimo brano è consigliatissima anche la ghost track.

In questo album spicca tutto il genio compositivo di questa ragazza, che non si limita nell'esibizione delle proprie capacità e dei propri virtuosismi (come spesso accade nei chitarristi solisti), ma compone musica proveniente direttamente dall'animo. E' comunicazione, il ruolo esatto che dovrebbe avere la musica, ossia influire nei sentimenti, provocare emozioni in chi ascolta, cambiare gli stati d'animo. E' come se la chitarra fosse una parte della persona, tanto bene riesce ad esprimersi con essa. La maturità artistica che caratterizza quest'album non sembrerebbe provenire da un'artista così giovane, con una storia così particolare, invece ecco un disco maturo, pieno di varietà e soprattutto di qualità.

Insomma, a mio avviso l'album migliore dei tre finora pubblicati. Si attende il quarto, "Dreaming of Revenge", con trepidazione; sperando veramente che non perda della genuinità e naturalezza che hanno contraddistinto "Legs to Make us Longer".

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