Kaos One è uno dei guerrieri al mic più forti che la scena hip hop italiana possa vantarsi di avere avuto. Una carriera produttivamente non molto larga, eppure attiva dagli anni Ottanta, quando ancora rappava in inglese. Un suono hardcore non adatto a tutti i palati, eppure rispettato praticamente da chiunque all'interno dell'ambiente. "Karma" è il suo terzo viaggio da solista, targato 2006, 7 anni dopo l'ultimo lavoro ufficiale, e il concept dell'MC continua il proprio percorso spirituale. Se "Fastidio" è una testimonianza rabbiosa di presa di posizione all'interno della scena hip hop, mentre "L'attesa" una dichiarazione di guerra e riflessioni personali, "Karma" è segno di una matura consapevolezza.

Il disco suona centopercento hip hop, per citare un suo classico, e a mio parere rispetto ai lavori precedenti anche più "fresco". Merito di un sound contestualizzato per quei tempi grazie alle produzioni, in primis di Don Joe; quel suono hip hop crudo da strada, quel modo di utilizzare i samples, sembra uscito appunto da un album dei Club Dogo pre-major (basti pensare al mixtape "Roccia Music" giusto per dirne uno). L'hardcore non è morto, semplicemente non ha intenzione di puzzare di vecchio, e in questo Kaos ritrova un giusto equilibrio anche nel flow stesso: più aggressivo e curato, rispetto ai primi tempi in cui a causa di una qualità minore rischiava di essere eccessivamente sporco e poco comprensibile. La copertina è splendida, e racchiude il concept stesso del disco: Kaos vuole abbandonare le scene (cosa che dice già dal '96), ma allo stesso tempo scava verso sentieri più profondi e maturi. Meno autocelebrazione e retorica, più una discesa psicologica nei meandi delle sue prigioni mentali, concept che si svilupperà in maniera più criptica in "Post Scripta", seppur meno incisiva sul piano concettuale.

"Uno" e "La zona morta" sono due schiaffi in faccia, in cui il maestro dimostra che il coltello è ancora affilato; una critica verso il vuoto all'interno della scena visto con gli occhi di Kaos, in cui si è persa la ragione oltre che i valori di una cultura che ha dato da mangiare agli artisti, ma soprattutto giornalisti e finti specialisti del net (citando Bassi e la sua "S.I.C."), rendendola un fenomeno da pubblicità delle patatine. Intorno a questo concept girano anche brani con tematiche più scottanti, come la controversa "Pandemia" in cui al centro vive il credo nel Divino, la perla "Algoritmi", con la matematica vista come metafora di studio della materia hip hop, fino alla diretta "Blah Blah" (l'episodio minore del disco a mio avviso). Kaos però non si è presentato da solo, infatti alcuni dei momenti migliori sono proprio le collaborazioni: su tutte "Il senso senso", con la partecipazione dei Club Dogo al completo (Don Joe fa la produzione), un sample geniale di "Fame", un ritornello trascinante e tre strofe preziose, in cui i rapper al mic danno il meglio. Un piccolo capolavoro, com'è anche "Mu-Sick" in cui a tenere il nemico al guinzaglio partecipa anche il rapper calabrese Turi, che mantenendo il suo stile funky riesce a fomentare a dovere. Tra i restanti i Colle Der Fomento in "Firewire" e Moddi MC (talentuoso freestyler siculo) in "D.C.D.V.", altra piccola perla sottovalutata. Capolavoro "Insomnia" (prodotta da Shablo), la traccia più intima e toccante del disco; il liricismo di Kaos è in continua ricerca, e in questo brano in particolare ritrova una dimensione meno retorica e più introspettiva, che per certi versi ricorda "Cose preziose". Chiude il disco "La fine", preceduta dal monologo clou tratto da "Seven" di David Fincher, una degna chiusura di un grande disco.

"Karma" è un lavoro hip hop con i controcazzi: fresco, grintoso, profondo, seppur a volte eccessivamente stucchevole e retorico nei contenuti, pur essendo un marchio di fabbrica che Kaos si è sempre portato dietro anche quando rappava a fianco di monumenti del genere come Neffa e i Melma&Merda. Ma questa è un'altra (grande) storia.

Carico i commenti...  con calma