ONORE AL MERITO
Niente da fare: se una band ha un singer molto valido, per il sottoscritto siamo già a metà dell’opera. E non parlo di gente starnazzante in gracchianti growl seguiti da chorus Teenpop, diventata ormai la prima regola per vendere.
Parlo di melodie che ti fanno cercare il testo e impararlo a memoria, parlo di utilizzo delle corde vocali a 360°, tecnica che va dal sussurrato al falsetto passando per scream puliti e non irritanti.
Parlo di Maynard, Boyd, Hayes, Moreno…
Ovviamente alle spalle dovrà esserci una band che tenta di andare oltre, di sperimentare e non percorrere le strade trite e ritrite, per non imbatterci negli Hoobastank di turno da dare in pasto a Tv e Radio.
Ad un primo frettoloso ascolto effettivamente li avevo bollati come ennesima rockband “alternativa” per ragazzine urlanti. I 10 Years mi sembravano il paragone azzeccato: cantante dalla timbrica simile e banalizzazione delle articolazioni tentacolari dei Tool.
Però dalla loro avevano "Change pt.2" con i suoi 10 minuti e un intro in crescendo che ipnotizza.
Passavano i giorni e il pezzo in heavy rotation diventa "Simple Boy", dal cantato iniziale quasi gregoriano, poi "Goliath" con il suo basso tooliano, le chitarre nervose e il singer che finalmente spinge sul cattivo.
Arriva il giorno di "New Day", prima di allora skippata categoricamente dopo la prima strofa troppo ruffiana. E’ solo allora che mi rendo conto che i Karnivool hanno coraggio: poteva essere un potenziale hit se fosse durato i canonici 3’30”, se la struttura del pezzo fosse stata la solita strofa/chorus/assolo/chorus. Con i suoi 7 minuti e rotti e i suoi cambi di atmosfera continui il singolo perfetto va a farsi benedire.
Parlando di singoli: incredibilmente optano per "Set Fire to the Hive", la più irruenta e nevrastenica dell’intero album. Chi si occupa del loro marketing lo assolvo giusto perché per il secondo video scelgono "All I Know": cantato quasi sussurrato e chitarre sognanti. Ebbene, se questo è il pezzo Pop dell’album, avercene di Pop fatto con questa classe.
Non volendo tirare in ballo i soliti Tool, ai quali comunque i Karnivool pagano pegno (pur avendo una sessione ritmica che non si avvicina nemmeno lontanamente al binomio Carey/Chancellor) chi negli ultimi anni ha apprezzato i lavori onirici dei Dredg, la maturazione dei Taproot e le melodie dei connazionali The Butterfly Effect, troverà sicuramente nei Karnivool una valida alternativa.
Musicalmente parlando mi è piaciuto molto il lavoro chitarristico. I due alle sei corde riescono ad alternare distorsioni potenti ("Goliath", "The Caudal Lure") a suoni puliti e ricercati ("Umbra", "Deadman") tingendo le atmosfere con caldi colori autunnali, ad effetti che rasentano l’elettronica ("Simple Boy").
Loro tallone d'Achille, a fare i pignoli, è il batterista: suono del rullante quasi atono e passaggi troppo semplici che non riescono a far risaltare i cambi tempo, sminuendo alcune atmosfere che meritavano sicuramente più fantasia e, perché no, tecnica (entrare quasi subito in 4/4 nella sopracitata "Change" è un sacrilegio!).
Se già nel precedente Themata (2005) avevano abbandonato il Nu dei precedenti EP (Karnivool 1999 e Persona 2001) creando pezzi dalle strutture articolate e interessanti ma ancora un tantino acerbe, il passaggio alla Sony (!!!) ha dato loro i mezzi per evolversi ulteriormente e offrirci una band che dalla lontana Australia si candida a The Next Big Thing.
Se tanto mi dà tanto, col prossimo lavoro rischiano di fare il botto.
Spero solo che MTV si accorga di loro il più tardi possibile....
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