Per molti amanti del metal, "Dead end kings", nuova uscita degli svedesi Katatonia era l'album del 2012, o comunque uno dei più attesi, di quelli che aspetti, quando conti i giorni dall'uscita ufficiale. Anche perchè non stiamo parlando degli ultimi arrivati, ma bensì di una realtà imprescindibile per tutta la fetta del metal più oscuro, quello che è in qualche modo codificato nei sottogeneri gothic, doom, depressive, dark. Aspettative ulteriormente "ingigantite" dal precedente lavoro di Renkse e soci, quel "Night is the new day" accolto in modo più o meno tiepido da larga parte della critica. I timori erano quelli legati alla possibilità (neanche tanto remota), che il combo di Stoccolma potesse riproporre con canoni leggermente mutuati, quanto era stato proposto in NITND: cioè un gothic più accessibile e "patinato", meno intricato e oppressivo rispetto alla complessità psicologica di un masterpiece come "The great cold distance".
Pochi giorni addietro, precisamente il 27 agosto, è stato pubblicato "Dead end kings", nono capitolo di una discografia destinata a crescere. Impressioni, sensazioni, giudizi: ormai è passato qualche ascolto e forse si possono gettare due parole sul contenuto e la sua validità.
I Katatonia, forse per la prima volta, creano un disco che non rompe con il suo predecessore, ma anzi ne ripercorre il sound e l'atmosfera, con piccole variazioni sul tema. Ecco perchè DEK risulta meno aggressivo di alcuni lavori precedenti: rifacendosi ai ritmi meno sostenuti di "Night is the new day", ne viene fuori un album di gothic riflessivo come mai la band aveva partorito. L'unico brano che "picchia" sull'accelleratore è "Buildings", mentre per il resto le sferzate delle due chitarre di Anders Nystrom e della new entry Per Eriksson rimangono decisamente in secondo piano. Ecco il motivo per cui "Dead end kings", risulta a conti fatti, il cd musicalmente più piatto e "fiacco" degli svedesi, che dimostrano la loro progressiva dipartita dalla pesantezza del gothic/doom degli esordi, anche nell'utilizzo massiccio delle tastiere di Frank Default. Già i primi pezzi del platter ci chiariscono tutto ciò, con la voce di Renkse a dominare in songs come "The parting" e "The one you are looking for is not here", mentre il tappeto sonoro si dimostra fin da subito eccessivamente laconico, soffuso. E' forse proprio questa "mancanza" il difetto maggiore del cd, a cui manca l'emozionalità che aveva da sempre contraddistinto il loro modo di fare musica.
Album da buttare? Per fortuna no, vista l'indubbia e cristallina classe della band, capace anche di tirar fuori delle canzoni riuscitissime e accattivanti nel loro alone di depressività gotica. "Hypnone" è una di queste, dove funziona bene la commistione tastiere/voce, ma dove a convincere è la totalità degli interpreti: discorso identico per "Ambitions" e soprattutto per "Lethean", a parere di chi scrive l'unico vero highlight del disco. Un brano che per incisività e risultato finale poteva figurare benissimo anche in "The great cold distance".
Alla fine di questo viaggio, che va detto, mantiene le caratteristiche di oscurità e pessimismo che i Katatonia hanno ben codificato nei loro lavori passati, si rimane con un cd di gothic rock sufficiente. Un aggettivo che non è nelle corde degli scandinavi, abituati a deliziare i loro fans con lavori più intensi e riusciti di questo "Dead end kings". L'impressione che hanno dato band come Paradise Lost e Saint Vitus, cioè nomi importanti della scena metal mondiale, è la stessa anche per i Katatonia. Quale? Una volta essersi affermati, forse è meglio limitarsi al "compitino"...
1. "The Parting" (4:52)
2. "The One You Are Looking For Is Not Here" (3:53)
3. "Hypnone" (4:07)
4. "The Racing Heart" (4:05)
5. "Buildings" (3:28)
6. "Leech" (4:23)
7. "Ambitions" (5:07)
8. "Undo You" (4:56)
9. "Lethean" (4:39)
10. "First Prayer" (4:28)
11. "Dead Letters" (4:29)
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