I Katatonia incarnano perfettamente quello che dovrebbero fare le band europee un tempo devote al gothic metal per cercare di sollevarsi dal grigiume che, oramai, da molto tempo le contraddistinguono.
I tempi di 'Dance on Decembers Souls' con le sue ritmiche death/doom sono lontanissime e la band di Lord Seth in questi anni ha evoluto costantemente il loro sound in maniera progressiva cercando di stare al passo con i tempi per non rimanere schiacciati dalla mediocrità delle ultime uscite di diversi gruppi che hanno avuto più o meno il loro stesso percorso stilistico.
L’ultima fatica, ossia questo “The Great Cold Distance” rappresenta, a mio parere, la giusta direzione verso cui potrebbero indirizzarsi le altre bande (soprattutto quelle di natali scandinavi) affinché il genere gothic rock abbia un futuro dignitoso, ossia l’unione tra le atmosfere melodiche e decadenti tipicamente gotiche con il suono diretto e potente delle chitarre mutuato dalla scena rock alternativa tipica dei Tool. Il mix che ne deriva risulta gradevole e ricco di fascino. “The Great Cold Distance”, a mio avviso, è un ottima produzione, ma non un capolavoro.
Il difetto che si potrebbe riscontrare nell’album sta nel fatto che nella sua seconda parte vede calare sensibilmente la notevole intensità iniziale. L’opener “Leaders” è devastante perché caratterizzata dal sound diretto ed efficacemente potente del riff di chitarra accompagnato dalla voce sempre più coinvolgente di Jonas Renkse (che in “The Great Cold Distance” raggiunge, a mio giudizio, la piena maturità) che in alcuni frangenti ritorna addirittura al growl che sembrava oramai dimenticato. Nella successiva “Deliberation” si odono decise reminiscenze wave che, alternate al suono malinconico di chitarra e tastiera nei cori, fanno della canzone forse la più suggestiva dell’ album. L’apice del disco, a mio avviso, lo si raggiunge con le splendide “Soil’s song", in cui il riff lento e ossessivo, quasi doom, della chitarra dà alla canzone un fascino malinconico ma esaltante allo stesso tempo, e, soprattutto, con la quasi ballata “My Twin”, sensazionale esempio di song gothic rock dalle atmosfere melodicamente malinconiche dove eccellono in tutta la loro bellezza i vocalizzi di Jonas Renkse , pregni di una tonalità fortemente decadente ed insieme accattivante, da cui, tra l’altro, è stato realizzato il primo videoclip della band. Sulla stessa falsariga di “Leaders” si pongono le successive “Costernation” e “Follower” che possono forse essere annoverati come gli episodi in cui si sentono maggiormente le influenze “alternative” alla Tool.
Sin qui “The Great Cold Distance” è quasi perfetto. Senonché le seguenti “Rusted” e “Increase”, seppur comunque degne di nota, difettano di quell’intensità di cui parlavo prima che caratterizzava la prima parte del disco per via, forse, del fatto che alla fine mi risultano all’ascolto finale un po’ monocordi. Ciò non accade, invece, con “July”, canzone piena di effetto soprattutto per la pesantezza ritmica e cadenzata delle chitarre che ne fanno l’ingrediente principale insieme ai timbri di Jonas Renkse, particolarmente efficaci nei cori. Si procede con “In the White”, canzone un po’ atipica in quanto carente delle melodie decadenti delle songs precedenti per assestarsi su lidi più rilassati interrotti, tuttavia, dalla potenza dei cori. Ottima anche “The Itch”, in linea con la componente più “ alternative” del disco. The Great Cold Distance si conclude con “Journey Through Pressure” , canzone non facile da metabolizzare al primo ascolto seppur intrisa di un’atmosfera dark particolarmente suggestiva.
In conclusione si può affermare con tutta sicurezza che siamo dinanzi ad un ottimo album di un gruppo che credo di poter definire come uno dei più eleganti della scena musicale europea. Un elogio particolare merita infine l’artwork che, come sempre nei lavori della banda, rappresenta in modo impeccabile quello che ci si aspetta di trovare sotto forma di musica.
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