Guardare oltre.
Oltre la superficie di mondi colorati di finto benessere, oltre il velo d'ipocrisia dell'uomo di plastica, fatto di bisogni di plastica, per rendersi conto di quanto grigio è il colore perduto di certa esistenza, di quanto vuoto è il senso incolmabile di azioni-esperienze-memorie senza un passato che conforti, che ristori.
Infine chiusura.
Sofferta espressione per mezzo di simboli, parole di roccia e fragile terra in suoni di lucida armonia, sempre ricercata, sempre voluta.
E' questo l'ermetismo katatonico, lo strumento invisibile di chi ha preferito contemplare sincero e mesto il proprio universo interiore, riflesso di molteplici realtà esteriori, dietro i paraventi di un Rock/Metal oscuro e complesso, nell'intento di scandagliare l'abisso dei sensi e delle certezze, la desolata consapevolezza dell'impossibilità di essere pienamente sereni, pienamente veri.
Allora non rimane che contemplare il vuoto, non come nulla ma come assenza di emozione e percezione di vita, protezione cruda ed invalicabile muro alla disillusione della quotidianità.
Nel mondo dei Katatonia, gruppo svedese ritenuto pioniere di sonorità un tempo estreme relative allo stile Gothic-Doom-Death Metal, si materializza dunque tutto quel "male di vivere" che certa poesia simbolista-decadentista ha rappresentanto con esatta grandezza, e che certi cantori del delirio ermetico e del decadimento irreparabile, come i Tool e i The Cure, hanno portato a compiuta essenza, fiumana di sensazioni qui rivissute e sensibilizzate nei confini di un abbraccio testo-musica indissolubile e geniale.
Non esistone forme geometriche che possono definire e contenere il vuoto dell'esistenza, così l'intero album è tutto un viaggio buio e misterioso, nelle strade impervie del Rock e del Metal, dove i suoni acustici, elettrici ed elettronici si confondono e si mischiano, seguendo una logica imprevedibile ma sensata, dove la perdita è tangibile, dove il dolore si fa carne, ma mai esplicitamente.
Tutto è simbolo, tutto è mediazione di colore, grigia esplosione controllata nel freddo del buio.
Linee vocali spesso melodiche sembrano ammaliare l'ascoltatore come una cantilena, mentre le chitarre ora dure ora gentili disegnano affreschi di rara bellezza, in un manto quasi misterico di atmosfere surreali, sempre cangianti, sempre diverse, fra i pieni ed i vuoti stranianti di un basso ed una batteria perfette ed evocative.
Qualcuno ha definito questa attitudine Progressiva, ma qui non esiste esercizio tecnico fine a sè, qui è tutto tecnica al servizio dei sensi, interpretazione ragionata al servizio delle idee.
Descrivere le singole canzoni, ritagliare come un mosaico un quadro completo e strutturato come quest'opera, sarebbe un delitto che troppe persone hanno già perpetrato.
Viva Emptiness è un viaggio nell'oscurità vera e sincera.
Un viaggio che si nutre di sensi, non di semplici e dirette emozioni, per questo risulterà ostico a chi si ciba di "goticità" edulcorata ed "alternativismo" spocchioso e ridondante.
Un viaggio difficile.
Come la vita.
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