”So di essere imperfetta, ed è questa imperfezione che mi fa desiderare di migliorare. Se diventassi perfetta, e non fossi più vulnerabile, forse non vivrei lo stesso shock emotivo che mi fa sentire il bisogno di scrivere musica.”

Questa, signori, è Kate Bush. Sfacciata bambina prodigio, rivelatasi nel candido e magico splendore dei suoi 16 anni, sbocciata e apparsa straordinariamente al fortunatissimo David Gilmour, diventato suo mecenate e che si potrà fregiare per sempre dell’onore di avere regalato al mondo i doni di questa straordinaria artista, un essere così profondamente umano nella sua sconvolgente sensibilità e così distante da ogni possibile analisi e razionale catalogazione. Una ninfa, una dea venuta da un’altra dimensione (a dispetto di un dato anagrafico, 30 luglio 1958, poco più piccola di un mese rispetto a mia madre, che avrebbe un senso se il tempo esistesse: ma in questa recensione il tempo non serve) smarritasi in una terra popolata da ombre, fate, leggiadri cavalli bianchi e misteriosi uomini senza volto.

Kate Bush aveva composto in perfetta solitudine le canzoni di questo miracolo in vinile imprigionata felicemente in una sorta di stregata campana di vetro, all'interno della quale una minima parte delle sue doti innate (compositrice, danzatrice, autrice, musicista) si mise al servizio dei capricci di donna bambina pazza di maliziosa innocenza, sensualità, incoscienza, incanto, lussuria. Energia. Qualcosa di troppo grande per i poveri mortali: era brutalmente chiaro che si trattava di una creatura straordinaria piombata nella vita terrena chissà da dove, forte della propria anima gitana vissuta attraverso i suoi mille registri vocali, le sue mille eternità. Un fenomeno. “The Kick Inside” è l’incanto, l’incantesimo di una principessa nomade portatasi al di là delle lingue, dei sessi e delle convenzioni musicali “terrene” eppure profondamente attaccata alle sue radici sradicate, innamorata di un’umanità perduta nella letteratura, nelle arti e nel canto. La poesia. Quanta femminilità vi è in lei che non vi si trova nella maggior parte delle muse che hanno allietato e allieteranno il corso irreversibile delle nostre vite, quanto stupore nel giovarsi di questo demone angelico ora madre, ora tenera fanciulla, ora bisbetica indomata, ora farfalla… una venere di ferro e perciò divina e imperiosa nella sua commovente gracilità. Impossibile trovarle una contemporanea, criminale tentare di accostarla a qualunque altro modello: nell’arte di Kate Bush le note, i generi musicali, le citazioni letterarie, i richiami a terre lontane e a romantici e impetuosi tramonti non contano nulla, sono semplicemente la cornice di un dolce lamento orgasmico nel quale veramente si può toccare con mano quel limbo interiore di una geisha sospesa tra castità totale e libertinaggio sfrenato. Il tormento e l’ estasi.

Ma Kate non può raccontare la sua estasi, non è in casa. Persa in una beata confusione, la vive attraverso le modulazioni della sua voce prima abortite, poi accennate, poi maltrattate e sprigionate, attraverso un rituale mondano, fantastico, di una iniziazione celebrata in vesti di velo a fioroni fucsia e nel suono del canto degli usignoli. La Divina mi conduce al dolce e inquietante incipit di Moving, tra echi macbethiani e stregate suggestioni notturne, mi invita a non avere paura di sentirla al buio, a far danzare il mio malandato spirito; il luogo non ha importanza, e ora mi spingo a cercarla in un bar di Berlino (The Saxophone Song) noncurante delle stelle che costruiscono torri sulle vocali, per sapere che ho avuto tutto di lei anche se ignaro e non meritevole della poesia che posso averle donato. Le luci nella stanza si spengono al fiorire di Strange Phenomena, e mi sforzo di capire tirando fuori ipotetici significati: ma queste non sono canzoni, sono sogni e incubi che si rincorrono mediante la gestualità di una sacerdotessa così dolce e terribile nella sua insicurezza, che attraversa il mio udito e il mio istinto in un mistico e doloroso abbraccio. Può essere punk, reggae, o progressive. Può essere un blues sinfonico in cui vedo da molto lontano le immagini di Carole King e Joni Mitchell, ma è come addentrarsi in una strada in cui ci si attraversa invece che incontrarsi.

C’è un buco nel cielo con una grande pupilla in Kite che mi chiama, mi invita a venire su e a diventare un aquilone in una notte di diamante, un aquilone di diamante: e c’è lei, e non sappiamo se vogliamo ancora restare sopra la luna, ma anch’ io ormai non so più come scendere, ora che l’ ho finalmente conosciuta. E sto male, perché so di non poter essere io The Man With The Child In His Eyes mentre Kate si chiede perché le dicono che il suo amore non potrà durare per sempre, e perché senta di dover restare in questo deserto senza i tartari, in questa valle di lacrime asciugate dal suo arcano sussurro. Sento la sua voce e cerco la sua presenza mentre mi perdo nella nebbiosa brughiera del nord, percepisco il richiamo di Kate/Cathy tornata alle sue Wuthering Heights , turbato dalla rassegnazione di dover vivere dentro una crudele illusione, sebbene fantasticamente confortato dalle parole della mia amata che sembrano voler fare a pezzetti il capolavoro di Emily Brontè. Ma che importa! Anche se per pochi minuti, sono io il tuo Heathcliff. O il tuo James and The Cold Gun mentre improvvisamente sputi nel mio viso il tuo veleno, e mi prendi a schiaffi ricordandomi che sto fuggendo dalla realtà, e che il paradiso non è in nessun altro posto se non in quello in cui siamo stati destinati, mentre nel disordine delle mie emozioni mi sembra di sentire i Pink Floyd di Animals che accompagnano la tua melodia baciata dalle stelle, ora che da tenera amante sei diventata così cattiva, e io da passionale Heathcliff divento un James qualunque indegno di te.
Che coglione. Ma in Feel It mi sento di nuovo ripreso e trascinato da te, perfida e deliziosa incantatrice, quando mi ridai le chiavi del gioco e del mio appartamento, mi immagino di possederti mentre le tue calze scivolano sul pavimento, senti la mia mano calda che ti accarezza e mi chiedi di continuare a muovermi, sincronizzando il tempo in una unione gloriosa. Potrebbe essere amore o solo lussuria, non ce lo chiediamo perché è comunque divertente, e meraviglioso. Oh, To Be In Love! Peter Gabriel può aspettare. In ogni caso, come sono arrivato qui? Avresti potuto essere il sogno di chiunque, e ora che tutto pare diventato così irreale, i colori suonati dal tuo pianoforte sembrano più vividi adesso, e ogni tua parola è nuova alle mie orecchie, temendo di scivolare nel domani troppo in fretta perché ieri è sempre troppo dolce per dimenticare. Eppure Schopenhauer lo diceva, il sospiro degli innamorati è il sospiro della specie. L’Amour Looks Something Like You, Kate, mentre entro insieme a te nel boudoir prima che giunga troppo presto il mattino, stupida, vecchia luna. Ma sei tu che assomigli a un angelo vestito di pizzo dagli occhi che si cullano nel vino, e veleggi nei miei pensieri procurandomi brividi quando canti di voler essere toccata da me, in cerca di quella sensazione di amore appiccicoso dentro. Mi travolgi nell’ acme dell’ eros, nell’ orgasmo sfuggente, con il mio sperma e il tuo miele che si adagiano sulla pelle rosa. Sigaretta. Mi parli di Them Heavy People , quei meravigliosi insegnanti che ti hanno aperto porte che credevi chiuse per sempre, ti hanno letto Gurdjeff e Gesù, ti hanno spezzato, ti hanno quasi uccisa! Ma che sensazione stupenda. Tu che ami le vorticose danze dei Dervisci, ami la bellezza dalla rara innocenza, proprio ora che non posso crederti diversa da una fata, mi dici che non ho bisogno di sfere di cristallo, perché siamo noi umani che compiamo i miracoli, e ognuno di noi ha un eden interiore. Perché è in Room For The Life Kate professa con orgoglio il suo essere donna, lo rivendica in una dimensione forte e umana, e mi travolge con la sua passione contagiosa, forte e soave allo stesso tempo, e mai ci si sente così incantati dall’ impeto del suo tocco di pura femminilità quando canta “Noi siamo state fatte forti perché siamo donne”.

Una donna forte. Eppure avrei dovuto capirlo già a questo punto che il mio sogno sta per finire e che mi avvio a un crudele risveglio quando in The Kick Inside Kate mi appare in una musica triste e crepuscolare e si rivolge a me abbassando il velo, e già capisco che ora ha deciso di lasciarmi indietro. Non più amante, né musa, ma sorella, e devo perderla come una freccia lanciata nella tempesta omicida, perché so che quando leggerò la sua lettera, una volta tornato in me, lei starà già bene. E tornerà a casa, ma non prima che il sole e la luna s’incontrino su quella collina laggiù…

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