Non so se sia già in cantiere il prossimo lavoro della Bigelow, ma sono sicuro che a priori sarà una pellicola decisamente più facile rispetto a Zero Dark Thirty. Un po’ come quando arrivi in cima stremato con il battito del cuore che si trasforma in un tamburo impazzito, i muscoli delle gambe che sembrano prendere vita per bestemmiare. Un sollievo infinito perché da lassù, infatti, si può solo scendere.

Credo che questo film abbia svuotato la regista statunitense che si è immedesimata nella figura della spigolosa protagonista, e si è impegnata per tentare di dare alla luce una produzione quanto più possibile inattaccabile, che chissà quante ore di lavoro e notti in bianco... Personalmente sono convinto che quando si carichi un progetto di troppa importanza, il rischio di fallire cresca in maniera esponenziale perché si tende a perdere la misura e la messa a fuoco. A testimoniare l’importanza di “Zero Dark Thirty”, basti pensare che la Casa Bianca ha prestato alla produzione migliaia di interviste e documenti. Sono state tagliate infatti oltre 3 h di lavoro e l’uscita è stata posticipata nelle sale (causa elezioni) tanta era l‘attesa all‘interno dei confini statunitensi. E’ la descrizione di una caccia all'uomo molto più lunga del preventivato e che, proprio per questo, ha progressivamente esaurito, logorato e ridicolizzato l‘intelligence americana e i suoi svariati milardi di dollar spesi: la ricerca di Osama Bin Laden.

Quando appresi la notizia del blitz decisivo in Pakistan ricordo che rimasi a guardare le immagini che in loop continuo cercavano di riempire la oggettiva aridità delle informazioni fornite. Le fotografie (ritoccate o no), i discorsi di circostanza, qualche mappa e ben poco altro. Mi sono immaginato degli scontri a fuoco degni di un film d’azione con un grosso budget a disposizione per una missione impossibile che trovava la quadratura quasi per caso, dopo lunghe traversie, grazie all‘aiuto dell‘eroe di turno.

E’ film duro e secco. Si potesse calpestare il rumore sarebbe quello di una foglia senza più vita. Il Partito Repubblicano l’ha osteggiato per le scene di tortura, (per quanto dure io sono convinto che siano caramelle rispetto alla realtà), ma ci sono affondi pesanti anche per i democratici, rei di avere aspettato oltre 150 gg. prima di agire. Una prima parte quasi documentaristica, con un groviglio enorme di nomi che ci rimbombano in testa, si trasforma quasi in un classico thriller man mano che prende possesso della pellicola la spigolosa protagonista Jessica Chastain. E’ probabile che questa figura sia stata dopata dalla regista perché l’intento di Kathryn Bigelow pare quello di personificare nelle gesta di questo agente, e nella sua determinazione quasi inumana, la voglia di rivincita e di riscatto di una nazione ferita nell’orgoglio che non si dà pace. Tutto molto pacchiano, ma gli americani sono così e ci credono davvero. Ho parlato di thriller, anche se pare assurdo visto che i 30 minuti finali dovrebbero avere un livello di tensione pressoché inesistente. Ed invece anche se sappiamo esattamente come andrà a finire, quando e dove colpiranno, ci attorcigliamo sulla sedia. Soffriamo ogni volta che viene procrastinato il blitz decisivo per la paura, da parte della Casa Bianca, di incorrere in un tremendo boomerang basando un'azione militare su territorio straniero su informazioni traballanti.

Da spettatori temiamo, infatti, che il lavoro di Maya vada perduto e la scena finale, che vede librarsi in cielo due elicotteri d’assalto, vale da sola i 5,50 € rihiesti. Come dei morbosi voyeur dietro la serratura vogliamo vedere nell’ora del buio più pesto (“Zero Dark Thirty” - 30 minuti dopo mezzanotte) come gli americani si sono presi la loro vendetta. Senza retorica, ed in maniera distaccata la Bigelow, in pochi minuti ci regala un’operazione militare febbrilmente attesa e che nel complesso risulta essere scarna, fredda, semplice e da un certo punto di vista deludente. La realtà è spesso così. Niente musica altisonante a suggellare la fine di una caccia all'uomo senza precedenti; nello sguardo di Jessica Chastain c’è una solo tiepida soddisfazione per aver fatto il proprio lavoro, ma anche un po’ di tristezza perché è insito nell’essere umano non godere a pieno del presente e guardare già al futuro. Mi è piaciuto il taglio per nulla trionfalistico che è stato dato al film e le critiche che, indirettamente, ha mosso al modo in cui la sua nazione ha dato la caccia a Bin Laden. Concludo dicendo che è un lavoro tecnicamente ineccepibile che descrive un sospiro di sollievo, un peso che si toglie.

Nulla di più.

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