L'album della definitiva consacrazione di un Mostro (no, non si offenda, Watanabe San, Lei lo è davvero).
L'album che ha collocato Kazumi "Kylyn" fra i maggiori chitarristi elettrici della storia (e "Mobo" e i capolavori degli '80, quelli con la crema dei musicisti d'Occidente, dovevano ancora arrivare).
L'album della Tecnica messa al servizio dell'Immaginazione, del talento visionario del singolo: velocità, tocco, precisione, incisività. Così si suona, così si "vive" (per meglio dire, ché a volte suonare non basta) la chitarra elettrica. Il rapporto pensiero-atto esecutivo (l'eterno Mistero che sta attorno agli Hendrix, ai Clapton, ai Blackmore) tocca qui livelli indescrivibili, semplicemente DISumani. Una cosa hanno principalmente detto di Costui, estimatori e detrattori allo stesso modo: "è una macchina". Ma se è una macchina, dico io, è una macchina complessa, una macchina che nessuno ha ancora inventato. Una macchina aliena da schematismo e sequenzialità. O forse "aliena", semplicemente. Perché in questo disco non ci trovo tanto di terrestre, a dirla tutta...
L'album di un Musicista che già non conosce più limiti, se mai ne ha conosciuti. "Limiti"...?
L'album del connubio ideale tra Fusion (nella sua incarnazione più recente, pre-ottantiana) ed elettronica, di quella tosta, tostissima anzi (su tutto il resto, la nevrotica e tecnologica rilettura di "Milestones", il classico davisiano, lontana parente dell'originale); il Jazz-Rock di un passato eppure recente, eppure ancora lì (dietro l'angolo), incontra la New Wave che dilaga, impazza, converte al suo Credo. Due linguaggi diversi, certo; che non fossero contraddittori, però, lo si doveva ancora intuire (e soprattutto: confermare su disco).
L'album di una formula espressiva totale: Jazz, Rock, Blues, Hard, Samba, impressioni "galattiche", meditazioni in chiave ambientale per quadri notturni. Soul e R'n'B, magari: del resto, c'è una sezione fiati apposta...
L'album che, nell'anno di "Solid State Survivor", rivela al mondo il Genio di un giovane session-man elettromane di nome Ryuichi Sakamoto; e, in seconda analisi, il talento di Yasuaki Shimizu, IL sassofonista giapponese degli '80.
L'album che dimostra che Akiko Yano, in quegli anni, aveva ben poco da invidiare a Kate Bush, in termini di "uso strumentale" della voce; due pezzi cantati, si, ma bastano per rendersi conto dello spessore immenso di un'artista spesso dimenticata, dalle nostre parti (quando si tratta di parlare di Grandi Voci). E suona, la - oggi ex - signora Sakamoto: piano, Fender Rhodes, synth, effetti vari.
L'album di una presa di coscienza nazionale: "Si, possiamo anche noi, come loro!". Dall'uscita di questo disco, la Fusion (e, badate bene, non il "vecchio" Jazz-Rock) non è più una cosa per soli Occidentali. Tutti gli strumentisti coinvolti sono giapponesi. Già, era il 1979: non un semplice dettaglio.
L'album da cui partire e a cui ritornare, immancabilmente, per chiunque voglia farsi un'idea di cosa fosse (!!!) la Tokyo a cavallo fra i due decenni.
Un album STORICO, per intenderci. Ma dovreste averlo già intuito...
Registrazioni: Roppongi Pit Inn, Tokyo, 15-16-17 giugno 1979.
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