Dopo una lunga carriera da protagonista negli anni '60 e '70 -non ci sarebbe bisogno nemmeno di dirlo, ma repetita iuvant- prima con i The Nice e poi con gli indimenticabili ELP, finita la parabola di questi ultimi, caduti in disgrazia già da qualche anno a causa della droga e di una crisi d'ispirazione generale, Keith Emerson, forse il più grande tastierista della storia del rock e non solo, si dà alla produzione di colonne sonore. A partire da un film di Dario Argento: nel 1980, sforna "Inferno", soundtrack dell'omonima pellicola. Nel 1981, in concomitanza con l'uscita del primo lavoro solista di Lake e la nascita della nuova formazione Asia, con all'interno Palmer (che molti davano già per "annegato nel Lake e mai più Emerson", ok scusate la battuta vecchissima), dà alla luce "Honky".

In questo lavoro, pubblicato inizialmente solo in Italia e solo in un secondo momento altrove, Emerson dà sfoggio del suo lato più disimpegnato, improvvisatore, da bettola, insomma in una parola: "Honky", che già avevamo avuto modo di conoscere in brani come "The Sheriff", "Benny The Bouncer", "Jeremy Bender", e soprattutto "Honky Tonk Train Blues". Probabilmente sentiva il bisogno di fare qualcosa di più rilassato, dopo un lavoro ancora pesantuccio come "Inferno", e ciò traspare anche dalla copertina. Mette, quindi, da parte le raffinatezze, la complessità, la ricerca sonora, per far scendere in campo il lato faceto e, probabilmente, brani più divertiti e divertenti, in uno stile che spazia tra fusion, honky tonk, blues e jazz.

Notevoli le prime tre tracce ("Hello Sailor Intro", "Bach Before The Mast", "Hello Sailor Finale"), che possono essere viste come una mini-suite, il cui cuore è la riproduzione e poi reinterpretazione in stile fusion del brano di George Malcolm, appunto "Bach Before The Mast", a sua volta reinterpretazione del tema popolare "Sailor's Hornpipe" - da qui il titolo "Hello Sailor" - nello stile di Bach.

Il resto dell'album si incentra su arguti temini d'umore allegro e giuochi d'improvvisazione, aiutato da strumenti molto vari, tra cui piccole percussioni e fiati.

Un ascolto molto piacevole, consigliato, il lavoro di un grande, e spunti, qua e là, che comunque riecheggiano e ripropongono un virtuosismo senza paragoni. Certo, da Emerson siamo abituati ad avere di più.

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