Del pianismo solo di Jarrett se ne è molto parlato, se ne parla e se ne parlerà tantissimo. Un sigillo che caratterizza il pianista da più di trent'anni e che trova la sua massima manifestazione emblematica nei concerti live a partire dal più acclamato Koln Concert. Jarrett è dunque passato alla storia grazie a un piano solo live di estrema originalità: la costruzione di un mondo nuovo circoscrive le lunghe suite di improvvisazione totale (non mancano tuttavia superbe esecuzioni, sebbene più rare, di standards o vecchie composizioni). Queste concerti sono stati, giustamente, lodati, sublimati, glorificati,commentati e recensiti. Ma cosa c'è al punto zero? Quando inizia la vera avventura di Jarrett con la solitudine? La risposta si chiama "Facing you".
Novembre 1971, Oslo: Keith Jarrett affronta per la prima volta l'incisione (per l'ECM) di un album da studio registrato in completa solitudine. Sole tre ore per realizzare un album che segnerà l'inizio di una nuova era per il pianista e per il panorama jazzistico. Con "Facing you" Jarrett pubblica il suo amore per il pianoforte acustico, e nient'altro. Il sentimento artistico del musicista nei confronti dello strumento assume caratteristiche ancor più intense ed esplosive dal momento che Jarrett, proprio in quel periodo, era impegnato come "tastierista" nell'Electric band di Miles Davis. Un inno alla purezza dunque, in antitesi con un'elettronica che a quell'epoca andava consolidandosi nel mondo del jazz.
Ascoltando il lavoro è subito chiaro come questo non sia il Jarrett conosciuto dai più, il Jarrett che fonde la sua anima con il pianoforte ininterrottamente anche per più di 40 minuti, soffre, gioisce, e canta insieme allo strumento ravvivando emozioni spesso indescrivibili. "Facing you" è un disco formato da otto brani della durata massima di poco più di dieci minuti, dunque idee formalmente più concentrate e distinte, ma che non rievocano la stessa magia dei successivi concerti live.
Le composizioni sono tutte di Jarrett.
Già il brano d'apertura, "In Front", è un ottima prova di un sunto di matrici gospel, soul e ragtime (ma anche classiche) che hanno segnato la genesi della musica jazz. Una genealogia che non manca di freschezza. La successiva "Ritooria" è di stampo più scolastico, un mix di momenti pieni, dalla vaga linea lirica, e di altrettanti virtuosismi. Il terzo brano "Lalene" è molto melodico, la lirica del pianista esce dalle prigioni del pezzo precedente, soffice e romantico, comincia a delineare l'aspetto più "popolare" del suo modo di suonare (in senso estremamente positivo s'intende). "My Lady, my child" è dedicata alla moglie Margot e al figlio appena nato Gabriel. "Landscape For Future Earth" (costantemente piatta e tranquilla) è un ponte di passaggio a "Starbright", molto più eterogeneo e difficile da eseguire, di matrice squisitamente jazzistica. Gli ultimi due brani riprendono atmosfere dei precedenti: "Vapalia" comincia con una linea molto marcata della mano destra ed un uso molto più parco della sinistra che termina, per contro, con un finale più orchestrale. L'ultimo pezzo "Semblence" è uno dei brani di più difficile ascolto, il filo conduttore si perde in strutture armoniche imprevedibili, talvolta accompagnate da schizzi free.
Sicuramente è un album che cade spesso (a causa di una lettura errata dell‘opera) in secondo piano rispetto alla produzione più conosciuta e amata di Keith Jarrett, ma che è doveroso possedere quantomeno per la sua valenza storica.
Carico i commenti... con calma