Intenso, nostalgico, malinconico. . . in una parola, MERAVIGLIOSO!!! Il profluvio di aggettivi è un po' esagerato? A mio modesto parere, e fuor d'iperbole, rende abbastanza bene l'idea. Questo concerto improvvisato per pianoforte solo è un' autentica delizia per l'udito e costituisce una delle pietre miliari nella ormai quasi quarantennale carriera del signor Keith Jarrett. Il luogo dove prende forma una tale meraviglia, per l'appunto, è il teatro dell' Opera nella capitale francese: il giorno è il 17 ottobre 1988, e così viene identificata anche la prima parte del concerto in questione.
L' influenza classicheggiante di un certo. . . Johann Sebastian Bach è tangibile all' ascolto della splendida sequenza iniziale, che ricorda le Suites francesi composte dal grande musicista tedesco, e sfocia dopo cinque minuti in una semplice ed efficace figura ritmica, sulla quale il Nostro improvvisa in maniera assolutamente espressiva, per poi rintracciare sotto le dita una bellissima melodia: evocativa, triste, incantevole, essa conduce l' ascoltatore in un mondo sconosciuto, una terra di sogno dove tutto è puro ed incontaminato. . . ma è lo stesso Keith a risvegliarci dal sogno in maniera anche piuttosto brusca per immergersi nuovamente nella figura ritmica precedente: ora la tastiera viene suonata con veemenza e vigore, ed attraverso un moto ondulatorio successivo(sembra di sentire due pianoforti, talmente alta è la tecnica del musicista), si arriva alla melodia conclusiva, più raccolta e contenuta rispetto alla precedente, ma assai pregnante nella sua delicatezza: le note cadono come gocce di pioggia leggera dallo strumento, prima di sfumare piano piano.
Dopo questo momento strabiliante, che basterebbe già da solo a far entrare il concerto di Parigi nel pantheon della produzione jarrettiana, arriva una cover: "The Wind", composizione del pianista Russ Freeman (musicista californiano che ha suonato con Chet Baker; si può ascoltarlo insieme al trombettista in un live di quest' ultimo chiamato "My Old Flame" dove c'è una splendida versione del brano), viene resa con grazia incantevole; l' improvvisazione è ridotta all' osso, l'esposizione della melodia (rieccone un'altra!!!) avviene con una chiarezza ed una limpidezza ineguagliabili. Insomma, l'ennesima performance superlativa. Ed ora la serata può anche concludersi. Keith si congeda dalla platea con un bel giro di blues, eseguito con eleganza e trasporto, a testimoniare anche l' ecletticità di questo artista, capace di muoversi tra i generi con disinvoltura e naturalezza impressionanti, così da incorporare nel suo stile pianistico quasi trecento anni di storia musicale.
A tal proposito, si può chiudere con le parole di un critico scritte in un bellissimo libro chiamato "Il mio desiderio feroce", sicuramente la migliore pubblicazione uscita sul Nostro:
Ormai, quando un pianista si scopre disposto a uscire dalle griglie del jazz o della tradizione colta per entrare in un terreno che sia di tante o di tutte le culture, si dice che suona alla Jarrett. Ormai, suonare il pianoforte cosiddetto di confine rende tutti, ineluttabilmente, epigoni di Jarrett.
E, aggiungerei sommessamente, ascoltare il pianoforte in generale rende tutti, ineluttabilmente, appassionati di Jarrett stesso
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