Pianista geniale, formatosi attraverso la musica classica e giunto alla notorietà suonando jazz, Keith Jarrett non ha bisogno di inutili presentazioni.
Il talento puro della Pennsylvania si propone qui, senza il consueto trio, in uno dei suoi celebri solo concerts, che lo vedono, appunto, unico protagonista della serata inisieme al fidato Steinway; queste esibizioni sono una occasione unica per l'artista per dare libero sfogo alla propria vena creativa: ogni composizione è totalmente frutto dell'improvvisazione. Seduto di fronte ai tasti neri e bianchi, neppure Jarrett sa a cosa andrà incontro. Questo pioneristico approccio alla musica non fa che aumentarne il fascino, creando un'atmosfera stregata in cui l'interazione tra il sensibile pianista, il luogo, l'acustica, il pubblico e lo strumento stesso risulta fondamentale per il risultato finale.
Registrato nella Vienna State Opera il 13 luglio del 1991 per la ECM, il "Vienna Concert" immortala Jarrett in una forma strepitosa.
Diviso in due lunghe tracce (circa quaranta minuti la prima, venti la seconda), questa storica esibizione testimonia una volta di più quanto l'etichetta dei musicista jazz stia stretta al Nostro. Ascoltando anche solo pochi minuti del concerto ci si accorge che questa è musica "totale", troppo sublime e inafferrabile per essere costretta in delle parole. Lapalissiana, comunque, l'influenza della musica classica, ancora più evidente che nei concerti di Colonia e Parigi. Non è un caso, forse, che i dischi che immediatamente precedono e seguono il suddetto contengano delle interpretazioni, rispettivamente, di Bach e Shostakovich.
Immensa la prima composizione. Un anziano riflette sulla propria esitenza con tenera malinconia; in questa introspezione, però, emerge qualcosa di irrisolto, qualcosa di oscuro che segna il passato dell'uomo; inizialmente egli accetta queste sensazioni oscure con rassegnazione, apatia; emozioni che presto lasceranno il posto alla rabbia, alla voglia di lottare per eliminare un fantasma che da troppo tempo lo insegue; inizia una vera e propria caccia. Infine la sconfitta dei propri demoni. Un'atmosfera più serena che però, come ogni guerra vinta, lascia sfiancati, lacerati, con una amarezza che stona con le facili celebrazioni ed ha il sapore della tragedia.
Questa potrebbe essere un ipotetico canovaccio per gli oltre quaranta minuti del vortice sonoro di Jarrett. Gli spettatori sono senza fiato; anch'io con loro.
A risentirne, inevitabilmente, è la seconda parte del concerto. L'incipit è, infatti, un po' in sordina, anche se i minuti finali sono, manco a dirlo, memorabili, ipnotici.
Jarrett lo definì il suo miglior concerto. Io non me la sento di sbilanciarmi tanto anche se, senza alcun dubbio, con questa musica, Keith ha raggiunto l'eternità; e la condivide con noi.
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