Il coraggio, indipentemente che ti porti seduto su di un trono o steso dentro una bara, va premiato. Poi ci si ricorda sempre di quelli che vincono e si dimenticano in fretta, dopo averli sotterrati di critiche infami, i perdenti. Purtroppo va così, ed è per questo che (per lo meno in Scandinavia) ci si ricorda molto bene dei Kent e del loro settimo lavoro, apripista della svolta elettronica che getta sulla loro musica quel tono misterioso e un po' decadente che solo un sintetizzatore riesce a dare.

E' stata un'idea vincente, sì, ma perchè come la maggior parte delle idee vincenti è stata studiata con cura e non azzardata in una notte di follia: se l'ascoltatore, abituato alle chitarre che fino a due anni prima avevano caratterizzato ogni disco della band svedese, si trova inizialmente spiazzato ascoltando il cupo e pachidermico incedere di "Elefanter" così come la cattedrale elettronica "Columbus", ad un esame più attento si renderà conto che i Kent in realtà ci sono ancora, e con loro c'è anche la sana dose di malinconia che ha sempre caratterizzato le loro produzioni discografiche.

"Tillbaka till samtiden" non è altro che il rivestimento plastificato del sound tipico di casa, è un ragazzo cresciuto che anzichè jeans e t-shirt preferisce indossare camice slim e cravatte sottili. La voce di Joakim Berg è sempre lì ed è sempre la stessa, intensa e delicata, mentre Martin Sköld prende sempre più parte alla stesura delle musiche e contribuisce a delineare quello che lentamente, ma inesorabilmente, diventa il nuovo profilo della band: un'ambientazione elettronica che fa da contorno alla forza romantica e struggente delle loro composizioni.

La già citata "Columbus" ne è un esempio lampante, così come il singolo "Ingenting" o "Vy från ett luftslott", che godrà di maggior fama nella versione remixata riproposta nelle turnè a venire. A differenza di altri lavori dei ragazzi di Eskilstuna non tutti i pezzi qui presenti sono memorabili, il che rende il disco un po' altalentante; in comune con il precedente capolavoro "Du Och Jag Döden", comunque, ha il fatto di aver infilato una triade conclusiva da applausi: "LSD, någon?", al numero nove, si muove sopra ad un arrangiamento così fine e ricercato che pare disegnato su carta millimetrata, e quando Joakim Berg grida "sono qui per te" viene da pensare "grazie".

"Generation Ex", in duetto con la bella Camela Leierth, è un trascinante vortice di sentimenti che vogliono essere urlati, gettati via, vortice che sfocia nell'epitaffio finale, triste e solitario, glaciale e profondo: "Ensammast I Sverige" conclude il disco spazzando via le foglie secche e facendo cadere dall'alto una pioggia sporca, fredda e tagliente.

Il tempo passa e i dischi proposti dai Kent diventano sempre meno immediati pur conservando un solido aspetto commerciale che li fa sempre schizzare ai primi posti delle classifiche svedesi; questo "Ritorno al presente" non si apprezza subito e, anzi, inizialmente si può avere l'impressione di esser stati in qualche modo traditi se ci si aspetta ancora che le chitarre la facciano da padrone, ma continuare su quella falsariga significava ormai ripetersi. E ripetersi è sempre tremendamente noioso.

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