In questi tempi grami, in cui il grigiore e le avversità prevalgono, può sorgere spontanea la ricerca di una compensazione nella ricerca di ciò che rientra nella categoria estetica del bello, in tutte le forme assunte in ambito artistico. Se si tratta di un long playing (gli ormai mitici 33 giri in vinile) , si può compulsare nella propria raccolta di dischi e pescare casualmente, fra i tanti, proprio questo lp intitolato "Joy of a toy" , inciso da Kevin Ayers nel 1969. Mi è capitato proprio l'altro giorno di riascoltarlo, dopo un po' di tempo dall'ultima volta, per riandare con la memoria al mio primo incontro fortuito con il disco di cui sopra e alle prime impressioni che ricavai dall'approccio con il musicista. Ebbene nel mio caso avevo solo 14 anni e mi trovavo fortunatamente in gita scolastica (precisamente la prima) nientemeno che a Londra meta turistica in gran voga in quell'aprile 1973. In quella settimana (tanto durò) di gita capitò, dopo le consuete visite ai monumenti londinesi di spicco, di dedicare un pomeriggio intero al rito dello shopping. Mi recai con alcuni compagni di classe a Carnaby Street, rinomata in tutto il mondo per l'elevata concentrazione di negozi e boutiques all'ultimo grido. Entrammo casualmente in un negozio di dischi (di cui non ricordo più il nome) per guardare le novità discografiche. Uno dei compagni, mentre il sottoscritto si accingeva ad acquistare l'album "Music" di Carole King (non tanto bello quanto il precedente "Tapestry" detto per inciso ) se ne uscì con una copia di "Joy of a toy" di Kevin Ayers . Di ritorno a Milano, incuriosito ebbi la buona idea di chiedergli in prestito il disco. Da notare che il sottoscritto aveva già in precedenza approcciato il rock e dintorni, formandosi all'ascolto di Beatles, Rolling Stones e Bob Dylan ma non ero ancora addentro a tutte le sfumature dell'universo magmatico del rock. Tanto per dire, ero ancora all'oscuro dell'esistenza della scuola di Canterbury, con annessi e connessi tipo Soft Machine e quindi per me Kevin Ayers era solo un illustre sconosciuto (errori miei di gioventù a cui ho saputo porre rimedio fortunatamente..). L'ascolto di "Joy of a toy" fu per me così spiazzante da indurmi ad acquistare una copia dell'album presso il fornitore di fiducia (precisamente Buscemi a Milano) . Un amore quindi nato casualmente tanti anni fa e non più appannatosi nel corso del tempo.

Ma cosa mi colpi' allora ed ancora oggi di "Joy of a toy" ? All'ascolto si avverte una certa freschezza stilistica ed una certa rilassatezza tipica del personaggio. Ayers era stato uno dei fondatori del gruppo dei Soft Machine, lasciati subito dopo l'album d'esordio nel 1968 allorquando si rese conto, durante una tournée negli USA, che c'era il rischio di finire inghiottiti nelle logiche stressanti del rock business. Il buon Kevin, da inguaribile dandy bohemien, preferì darsi i suoi tempi dilatati nel comporre musica, scegliendo come buen retiro l'isola di Ibiza. E dai solchi di "Joy of a toy" traspare questa indolenza non solo personale di Kevin, ma anche di tanti hippies del tempo che, fautori di una vita alternativa, cercavano di riavvicinarsi alla natura seguendo filosofie orientaleggianti ed indulgendo all'amore libero (descritto poi da una definizione fulminante di Nanni Moretti come "pratica di una sessualità espansa e sudaticcia" ).In questo mood Ayers, coadiuvato dagli ex colleghi Soft Machine Robert Wyatt e Mike Ratledge, sciorina una gamma ampia di sonorità che compongono un calderone di sfumature intinte nella psichedelia, nel prog rock , nell'acid folk, nel glam. Così facendo Kevin Ayers resta nel solco stilistico di autori inglesi contemporanei come Syd Barrett e Donovan Leitch (basta ascoltare "All this crazy gift of time" per rendersene conto), senza sfociare in dimensioni più marcatamente jazz che i Soft Machine avevano imboccato. I brani presenti in "Joy of a toy " non derogano dalla forma canzone ma hanno esiti sorprendenti come "Stop this train (Again doing it ) " che ha un ritmo così contagioso da destare l'attenzione anche di un ascoltatore distratto.

Altro punto di forza dell'intero lp è costituito dai testi che denotano la sagacia di Ayers. Intanto certe atmosfere a la Lewiy Carroll presenti in motivi come "Girl on a swing" e "Lady Rachel" (dedicata alla figlia) stingono in toni malinconici (è avvertita la consapevolezza del panta rei eracliteo) e sinistri (la dimensione onirica di Rachel è percepita come ultimo usbergo contrapposto alle paure dell'ignoto e dell'inconscio) È presente anche, a rendere l'atmosfera più distesa, uno spiccato amor panico per la natura come emerge nel brano "The Clarietta rag" ove al ritmo spedito a supporto di tromboni e mellotron si celebra questa Clarietta con

"Have you seen miss Clarietta riding round on her Lambretta on the mountainside. She's the Queen of of mountain magic, everybody knows" .

Ovvio che quell'accenno alla passeggiata a bordo di una Lambretta rende originale e simpatica questa Clarietta, dea pagana della natura.

Ma Kevin Ayers è anche un acuto osservatore della vacuità dei tempi (decisamente in controtendenza rispetto a tanti suoi contemporanei) come si evince in questo passaggio in "Song for insane times" (motivo con sonorità jazzate) :

"People say they want to be free, they look at me but it's only themselves they're wanting to see and everybody knows about it

And you and I we sit and hum, we know something 's got to come and get us off our endless bum, there's probably one in the bathroom or even in the hall I don't know anymore than you do, in fact I don't know anything at all "

Un ritratto accurato, dunque, del disorientamento personale e generale avvertito in quegli anni turbolenti quando il pubblico giovanile identificava nei musicisti sulla ribalta tanti portavoce delle istanze di rinnovamento auspicate e perseguite.

Ecco pertanto uno stimolo ulteriore per riascoltare" Joy of a toy ", album di un artista che ci offre una prospettiva originale e disincantata su quei favolosi anni 60 certo tanto solari, ma anche non privi di tensioni forti e contraddittorie. Kevin Ayers, che ci ha lasciati qualche anno fa,, va riscoperto per quel suo stile sornione e mai banale, che lo ha reso un dandy geniale del rock intelligente e colto.

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