Se c'è un gruppo che ancora negli anni 2000 riesce realmente a dare un senso alla definizione "indie" questi sono i Broken Social Scene. Nel loro caso, Indie equivale sostanzialmente a dire "fa quello che ti pare in un contesto più o meno intellegibile", il che li ha portati a tirar fuori almeno almeno uno dei capolavori del decennio (per me), e cioè "You Forgot It in People".
Kevin Drew, probabilmente il leader di questa multisfaccettata band, ha tirato fuori un disco apparentemente solista che insiste ed esalta la filosofia di cui sopra. Che è un pò una sorta di filosofia del caos, canzoni che perdono volutamente il baricentro perchè, loro lo hanno intuito prima di altri e con più forza espressiva, generalmente il concetto stesso di canzone è ormai obsoleto. Quest'album, uno dei più geniali dell'anno passato per me, è un avvicendarsi, più che di canzoni vere e proprie, di insiemi di temi che si allacciano o si contrastano, si accostano in maniera casuale o più o meno sistematica, in ogni caso trascinano e portano l'ascoltatore lontano laddove era partito... il tratto comune ai pezzi è quell'atmosfera un po' "dreamy" che pervade il tutto in maniera ancora più esplicita che negli album dei Broken Social Scene, ma la visione di Drew rimane a 360°, in termini di arrangiamento, strumentazione, struttura: la negazione più totale e sistematica del concetto stesso di cliché.
L'effetto totale di questo disco è un gigantesco trip nella perdita di linguaggio incarnata dagli anni '00, che non vuol dire che lui non abbia linguaggio, ma che ogni brano musicale può averne di migliaia pur senza perdere, nel suo caso, l'unicum espressivo. Come da lezione di Broken Social Scene d'altronde, Drew sa bene cosa significa Post Rock; attitudine di cui molto intelligentemente riprende l'intento, non la forma.
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