Un pomeriggio, ahimè, di più di una decade fa, me ne stavo sulla mia adorata e mai abbastanza compianta poltrona, immerso in quel favoloso stato sonnolento -occhio aperto, occhio chiuso- che anche tu lettore, tra poco, proverai continuando a leggere -e non dire che non sei stato avvertito- quando quella piccola "saputella" della Paola Maugeri sull'allora Videomusic fa fare un paio di pezzi live a tal Keziah Jones che io, in preda a postumi giovanil-postmetal -nonché postumi da digestione lenta-, non avevo mai e dico mai sentito nominare. Il nostro si presenta in trio, scalzo, mezzo nudo e inizia a frullare il polso che quasi la mano non si vede, che quel polso ero sicuro che si sarebbe svitato e sarebbe volato magari -magari!- in testa alla Paola. Suona una chitarra ma sembrano tre, è "Million Miles From Home", e il suono mi avvolge con una fluidità, una pulizia -grazie ad una sezione ritmica precisa come una tassa- davvero unica. Mi tiro su, ascolto meglio, il cantato è caldo, pastoso. C'è un sacco di roba dentro a quella canzone: funky a tonnellate, va bene, ma pure un po' di r n' b, ma soprattutto, aldilà dei generi che il nostro Jones sfiora, c'è tanto tanto stile tutto immerso in un'attitudine Black, intesa come approccio come sapore, vita. Non per nulla, scoprii dopo, le radici di quest'artista sono profondamente affondate nell'Africa, Nigeria per la precisione.

Lo stesso giorno sono andato a comperarmi quest'album ed è stata una grossissima sorpresa. "Colorful World", il secondo pezzo sono dieci minuti in cui la chitarra distorta e sporca, sostenuta da un ritmo sempre uguale e cristallino, impazza allungandosi e ritirandosi continuamente sopra il tappeto ritmico. Keziah dimostra anche di essere un valido scrittore di musica, di canzoni e ritornelli, di avere belle doti vocali, e gran cura per i dettagli. Non per nulla sono molto belli -e presenti ovunque- i cori.

In un perfetto gioco di alternanza torna il funky -chitarra snodata- con il terzo pezzo "Prodigal Funk" che lascia poi di nuovo spazio ad un pezzo ancora riflessivo e stupendo come "Splash" dove a farla da padrone sono la struttura ritmica e il bellissimo cantato. Si va avanti tra pezzi più tradizionalmente funky -ma comunque sempre sporcati- e vere mangiate distorte e sofferte come nel quarto d'ora di "African Space Craft".

Tutti i pezzi comunque sono splendidi e mi piace sottolineare le venature addirittura sudamericheggianti di "Speech" -uno degli episodi più belli- e dell'armonia dolce di "If you know". il tutto sempre coperto di black, funky e una marea di grande stile.

Sottovalutato album di un sottovalutato artista, che suona con l'anima.

Provateci, se non vi siete già addormentati.

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