Non ci sono dubbi sul fatto che quello che ha fatto Julian Cope prima con 'Krautrocksampler' e poi, anche se ricevendo un feedback forse minore da parte del pubblico, con 'Japrocksampler' sia stato qualche cosa di veramente influente nella cultura musicale degli ultimi anni e un'opera fondamentale nella scoperta e riscoperta di culture musicali e generi che erano stati dimenticati oppure che erano completamente sconosciuti alla maggioranza degli ascoltatori di tutto il mondo. In teoria, per dire tutta la verità, è stato probabilmente proprio 'Japrocksampler' (il titolo completo sarebbe: 'Japrocksampler: How the Post-war Japanese Blew Their Minds on Rock'n'Roll') il lavoro più importante e quello più difficile da scrivere. Fino a quel momento non c'era molta documentazione al riguarda in Europa e Cope ha dovuto allora lavorare per creare una sua vera e propria enciclopedia e raccolta di informazioni fino a costruire gradualmente il quadro della situazione da milioni di piccoli frammenti di informazioni. Quello che ha fatto per quanto mi riguarda

In pratica ha dovuto partire cercando di ricostruire quella che era la situazione in Giappone dopo la seconda guerra mondiale e quello che è stato il processo di democratizzazione e di occidentalizzazione del paese, che impatto questo ha avuto sulle persone e sulla scena musicale e fino quindi a analizzare la scena della musica sperimentale giapponese tra il 1951 e il 1969 e le varie band principali nipponiche come J.A. Caesar, Taj Mahal Travellers, Flower Travellin' Band, Les Rallizes Denudes.

In definitivaè una lettura che non suggerisco solo agli appassionati di musica, perché ha un sacco di contenuti interessanti e Cope ovviamente è un ottimo scrittore che sa cogliere i diversi riferimenti storici e culturali e argomentarli in maniera documentata e con una scrittura interessante.

Che dire invece di quella che è attualmente la scena musicale giapponese e in particolare per quello che riguarda la musica psichedelica. Cope ha fatto un ottimo lavoro per quello che riguarda la ricostruzione del passato, ma il suo intento era chiaramente quello di guardare al futuro e magari di essere in qualche modo da 'guida'. Chi lo sa se una band come i Kikagaku Moyo abbia letto il suo libro e lo abbia trovata in qualche modo utile. Provenienti da Tokyo, i Kikagaky Moyo sono senza dubbio la più nota tra le band psichedeliche giapponesi attualmente in circolazione, se escludiamo gli Acid Mothers Temple del chitarrista di Osaka Kawabata Makoto, ovviamente, che sono qualche cosa che possiamo considerare oramai una band di cult e un vero e proprio multiforme complesso sperimentale nel macro-genere psichedelico e nella musica progressive.

I Kikagaku Moyo hanno una storia recente. Cominciarono suonando per le strade di Tokyo nel 2012 e da allora sono cresciuti un sacco passando dall'essere una sorta di collettivo mutevole alla forma definitiva di una vera e propria rock band psichedelica con influenze di diversi generi, dal kraut-rock alla musica folk tradizionale e fino al rock degli anni settanta (non necessariamente psichedelico). Non gli è servito molto comunque prima di essere notati dagli ascoltatori e dalla critica, che si è subito mostrata interessata alla loro musica. Hanno già girato in tour attorno a tutto il mondo e preso parte ai maggiori festival di musica psichedelica e il loro disco del 2014, 'Forest of Lost Children', è stato universalmente acclamato come uno dei migliori degli ultimi anni nel genere. È già stato ristampato tre volte!

Il nuovo disco è stato registrato a Tokyo allo Tsubame Studio e mixato, masterizzato e prodotto da Yui Kimijima. La band ha presentatato il proprio disco come un superamento di tutto quello che hanno fatto fino a questo momento e hanno descritto, 'House In the Tall of Grass' (Guruguru Brain), come il termine, il punto di arrivo di un lungo viaggio durante il quale hanno lavorato per liberare la loro mente e il loro corpo.

Tutto molto bene. Devo dire che dopo aver ascoltato il disco non posso che considerare che questa band è molto migliorata nell'ultimo periodo. Non mi riferisco solo alle loro registrazioni, ho visto infatti questi ragazzi suonare dal vivo un paio di volte e devo dire che sebbene mi fossero piaciuti, ho sempre considerato la mancanza di una vera e propria unitarietà nel loro sound, come se fossero ancora alla ricerca di una formula ben definito. Il sound e le singole canzoni erano sempre troppo eterogenee tra loro e davano una sgradevole sensazione di scollamento tra un passaggio e l'altro.

Ma da questo punto di vista, come dicevo, sono cresciuti molto. 'House In the Tall of Grass' è un disco molto più compatto e se possibile con una linea di continuità che va sin dalla prima traccia, la lunga acida sessione psych di 'Green Sugar', fino all'ultima, 'Cardigan Song', che è quella che potremmo definire come una tradizionale ballata di folk psichedelico.

Tutto il disco è caratterizzato da uno spirito etereo, quasi evanescente e che viene acacentuato dal cantato che è sempre soffice e accompagna l'ascoltatore in una dimensione magica e fantastica. Canzoni come 'Trad' e 'Silver Owl' d'altra parte combinano questo approccio con la loro dedizione a suonare un rock'n'roll acido elettrico tipicamente seventies creando una mescolanza tra quello che potremmo definire un senso di quiete e caos e disordine. Altri episodi sono invece molto più evocativi: la sessione strumentale di 'Melted Crystal', il groovy sound di 'Dune' e la traccia breve 'Fata Morgana' dominata dal suono dei sintetizzatori e dell'organo elettrico. Ma non sono meno interessanto quelle che ritengo siano influenze dirette dalla musica tradizionale giapponese e in particolare modo nelle atmosfere create e in un certo uso delle percussioni e del 'tempo', tipo 'Kogarashi' (che pure mi ha fatto pensare alla band psych USA Magic Castles) e la stessa 'Cardigan Song'.

In definitiva ci sono sempre un sacco di punti di riferimento a cui guarda questa band e loro cercano sempre di usarli tutti, ma la novità in questo caso sta forse nel fatto che riescano a miscelarli in una maniera migliore e fino a configurare quello che si potrebbe finalmente definire un sound che sia loro proprio. Abbiamo parlato prima di quello che è un viaggio nel quale hanno lavorato per accrescere e liberare il corpo e la mente. Be', forse questo viaggio non è ancora finito, Dio solo sa quanta strada ci sia ancora da percorrere, ma ascoltando questo disco posso dire che la strada imboccata è quellal giusta. 'Have a good trip guys', allora. In tutti i sensi possibili.

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