Chiave di volta dello storico passaggio dal punk alla new wave e pilastro fondamentale del rinnovamento del rock odierno, i Killing Joke di Jaz Coleman pubblicano un nuovo album confermando di essere una delle rare band anglosassoni ancora in attività a mantenersi fedeli alla propria linea stilistica, nonchè a conservare dignità e decoro nonostante gli alti e bassi di una carriera di grande peso.
Orfani del compianto Paul Raven (rip), Coleman e soci tornano alla ribalta con "Absolute Dissent", un album che fin dalla copertina la dice lunga sulle idee e ideologie che da tempo hanno sposato ed elaborato senza stemperare l'approccio; anzi, ricruentando nel tempo una volontà di discussione che ha continuato ad esprimersi con energia devastante (specialmente da "Extremities..." in avanti). E sebbene questo nuovo lavoro abbia un respiro meno aggressivo ed urlante rispetto al "Killing Joke" del 2003, i contenuti restano comunque in linea con la radice sociologica - e politica - di questo ensemble dotato di intuizioni folgoranti e di un design sonoro imitatissimo.
Fin dalle prime tracce l'impressione è quella di un percorso a ritroso negli anni, che ritrova ombre e luci di almeno quattro o cinque album precedenti, riportando una certa vena melodica e malinconica a mescolarsi con le sfuriate ritmiche a cui ultimamente ci avevano abituato. Anche le contaminazioni elettroniche compaiono a sprazzi a sottolineare che la loro musica non si è mai posta preconcetti di comunicazione e che al giorno d'oggi tutto è sdoganato e lecito per attribuire un'atmosfera o una sensazione a una canzone.
Ecco allora che ai sincopati inni di "In excelsis" e della title-track "Absolute Dissent" si alternano la scorribanda techno-industrial di "European Super State" e la tarantella selvaggia di "Endgame", fino al punk-rock del nuovo millennio "Here comes the singularity" che chiude il disco. In tutto 11 brani che non concedono tregua e abbondano di chitarre distorte e basso compatto, con il vocione sempre più stravolto di Jaz a recitare le sue litanie nervose di cerimoniere esoterico. Piuttosto lontano da certe interminabili risonanze epiche che avevamo trovato nel precedente "Hosannas from the basement of hell" e più vicine, come si diceva, a quel melange malinconico-postatomico tipico di altri album, dove l'immagine di un mondo votato alla corruzione e alla catastrofe sembrava trovare nei Killing Joke i suoi cantastorie più realistici e disillusi.
Certo, non è semplice valutare oggettivamente l'opera di artisti che hanno condizionato la scena rock per trent'anni e che, ovviamente, oggi sono stati affiancati da una folta schiera di seguaci ed imitatori. Se da un lato la forza proprompente del loro stile riesce a coinvolgere e a tenere alto il vessillo, dall'altro è indubbio che non siano rimasti molti spazi per la sperimentazione e il rinnovamento. "Absolute Dissent" è un buon album, che non tradisce i fans e può sedurre i neofiti; ma in una prospettiva completa non può reggere il confronto con altri titoli di una nutrita e gloriosa discografia.
Più interessante, in questo senso, un'analisi delle liriche, a cui la musica sembra piegarsi per sorreggerne l'impeto comunicativo e i sottintesi allegorici, dimostrando che su questo piano i Killing Joke sono stati sì imitati, ma come recita il loro motto "semper imitatum, numquam idem".
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