Quella dell'avvento dell'apocalisse, della fine del mondo dev'essere una sorta di fissazione per il buon Jaz Coleman, ugola degli ultrastagionati Killing Joke.

Sì perché, se già nell'ormai lontano 1982 si era ritirato nella lontana e fredda Islanda per sfuggire alla, a sua detta, imminente fine del mondo, nel presente 2012 decide, in completa sintonia ideologica con i restanti membri della band, di dedicare l'ultima fatica discografica - la numero quindici se non erro - a tale tematica, quantomai in auge nell'anno che sta per volgere a termine.

MMXII (2012 in numeri romani) difatti non è altro che una compagine di brani incentrati tutti sul presunto capolinea verso il quale la sfera terrestre che abitiamo - e a volte infestiamo - si sta dirigendo: quindi se da un lato troviamo tematiche di tipo ambientale connesse al (forse) possibile e temuto mutamento della posizione dei poli terrestri ("Pole Shift"), dall'altro si parla dei presunti campi di concentramento costruiti sul suolo degli Stati Uniti dallo stesso governo al fine di internare evntuali frange dissidenti della società ("Fema Camp"), passando per il tema del probabile collasso al quale potrebbe giungere il sistema di approvigionamento delle materie prime degli Stati più avanzati nel terzo mondo ("Colony Collapse").

Ma veniamo alla musica, dato che è questa che maggiormente (mi) interessa.

La musica per l'appunto: cosa può aver ancora da dire un gruppo come i Killing Joke, attivo dagli albori degli anni '80, il quale si è preso la libertà di spaziare attraverso vari generi musicali, saltando dal post punk con influenze elettroniche degli inizi, sfoggiando una propensione new age nella seconda metà dei anni ruggenti anni Reaganiani (che valse anche non trascurabili capatine nelle charts), approdando negli anni '90 ad un suono più duro - quasi metal - confermato anche dopo la reunion negli anni zero?

Viste tali premesse si sarebbe portati a rispondere niente, o molto poco, ma non è il caso dei Killing Joke e del presente album in particolare.

Infatti, a detta del sottoscritto, si può ritenere MMXII come una sorta di summa di quanto proposto dalla band nel corso dei precedenti decenni, ma una sintesi di spiccata qualità, non una scialba riproposizione di ciò che è stato il glorioso passato come purtroppo spesso accade.

La cosa che poi mi ha colpito è la freschezza dell'intero prodotto, il fatto che lo stesso scorra con facilità per tutta la sua durata (50 minuti non sono esattamente pochi), caratteristica che a mio modesto parere veniva a mancare nei loro precedenti lavori e che è stata pienamente colta in quest'ultima prova in studio.

L'inizio è nebbioso, i tempi sono eterei ma ben cadenziati, fino al momento in cui "Pole Shift" prende improvvisamente corpo e il riffing tagliente di Walker e la voce roca - pochi istanti prima accogliente nella sua spettralità - di Coleman ci scaglia in un turbine vorticoso dal quale difficilemente ci si libera sino al termine dei quasi 9 minuti che compongono la canzone.

Apertura col botto insomma, forse il pezzo migliore dell'album, che racchiude tutte le enormi potenzialità dei Killing Joke dopo circa 30 anni di carriera.

Ciò che segue si mantiene comunque sugli stessi altissimi livelli qualitativi: la marziale "Fema Camp" è un saggio delle doti interpretative di Coleman, mentre con "Rapture", "Glitch" e "Trance" si preme sull'accelleratore e l'elettronica si fa complice delle partiture quasi Rammsteiniane (tanto sono stati proprio i Killing Joke ad ispirarli più volte) nel disegnare precisi e mirati assalti all'arma bianca, sostenuti dalla robusta sezione ritmica orchestrata dal fido Ferguson.

Non paghi, i qui presenti musicanti ci regalano anche un breve viaggio nel tempo negli anni in cui la contaminazione con sonorità new wave aveva caratterizzato la loro musica, inserendo nella tracklist due brani in serie dal gusto molto ottantiano, sicuramente orecchiabili ma assolutamente di qualità: "In Cytheria" (singolo di lancio tra l'altro) e "Primobile".

Menzione partiicolare e personale per "Colony Collapse": riffing pesante, basso pulsante e dinamico (sentire per credere la fine del pezzo), voce evocativa. La mia preferita.

Tirando le somme, ascolto estremamente consigliato, non solo a chi di questa immensa - e a volte sottovalutata - band è già fan, ma anche chi non si è mai preso la briga di ascoltarli.

Voto: 7,5.

Ultima curiosità: circa a fine luglio di quest'anno Coleman era nuovamente sparito dalla circolazione per poi essere ritrovato qualche settimana più tardi nel deserto del Sahara...che stesse cercando un posto differente dalla fredda Islanda per attendere la fine del mondo?

Carico i commenti...  con calma