Mentre le polveri acide di un esordio al fulmicotone iniziavano a diradarsi, poteva ancora capitare di perdersi tra le grigie stradine di Notting Hill, che nel 1981 non erano certo quelle di Hugh Grant, e con buona dose di coraggio, decidere di proseguire istintivamente il cammino, in cerca d'avventura: c'è una rampa che porta giù dritto ad una cantina, si scende che è già buio, mentre i battiti sordi di una grancassa rimbombano da dietro la porta; una porta che si apre cigolando… ed ecco Paul Ferguson, con lo sguardo duro e assente, che continua a battere quella maledetta cassa. Sono colpi secchi, forse da soundcheck, ma che sembrano voler continuare all'infinito. All'improvviso, dalla penombra, partono sferzate di chitarra affilate come non mai -sì, Geordie era proprio lì al fianco!- Replica subito un basso deciso, ripete una nota con insistenza, poi parte una danza selvaggia, tribale, primordiale: la città è lontana quando, direttamente da un altro mondo, entra sulla scena l'eco allucinato di Jaz Coleman. Così mi piace pensare che sia venuta alla luce "The Fall Of Because": Il non-senso strisciante, la caduta delle certezze, come recita il titolo, forse fu davvero il frutto di un accenno sinistro, e qualcuno che lo capta nervoso "Ma che razza di… What's This For...!" poi lo segue a sua volta col proprio strumento, e il nuovo progetto Killing Joke può così avere inizio.
"What's This For…!" - nessuno saprà mai per cosa stia veramente - è il disco del puro istinto, dei ritmi a piede libero senza timori di perché e per come, delle sperimentazioni dub, dei rumorismi da fabbrica e della decostruzione definitiva del concetto di synth, trasformato una volta per tutte in macchina aliena con cui modulare intuizioni di follia. Le chitarre, sempre acide e deliranti come agli esordi, questa volta non suonano la carica secondo le regole punk, ma si mettono al servizio di un tribalismo che pulsa e imperversa per tutto l'arco del lavoro, un marchio distintivo da lì agli anni a venire. Le enciclopedie del rock lo ricordano soprattutto per aver consegnato agli annali "Follow The Leaders" il primo pezzo commercialmente ballabile, fruibile almeno da certi dance floors di larghe vedute, e l'orecchiabile "Tension", squadrata e accattivante, tuttora molto gettonata ai concerti. Ma "What This For…!" porta in sé molto di più: oltre alla componente tribale e sperimentale, si avverte come su tutto aleggi un alone cupo da post-atomica, un manto dalle tinte fosche che prende direttamente vita dalla copertina dell'album (una delle più inquietanti di tutti i tempi) e veste dei colori dell'incubo pressoché tutti i brani in scaletta. Prendiamo ad esempio "Unspeakable", dove una nube crepuscolare corre verso un paesaggio urbano, lo avvolge, una cassa batte nuovamente come una pulsione cardiaca, poi non v'è più scampo: "every direction leading to the same place" sentenzia Jaz, mentre schiere di tamburi maligni accompagnano gli ultimi istanti di una fuga disperata. Lo scenario perverso prosegue con "Butcher", un intreccio di ritmi secchi ed affilati che evocano un macchinario industriale in funzione, un macellaio meccanico che taglia, pesta, seziona ed appende Dio solo sa cosa, tra chitarre lisergiche e tastiere violentate delle loro nobili virtù. Il secondo lato si apre con la citata "Follow The Leaders" un brano post-funk sì ballabile ma tutt'altro che commerciale, con le percussioni che si sovrappongono ad un ritmo elettronico formando un impasto inedito che farà scuola nel mondo dub. Verrà scelto come singolo apripista soltanto per la sua lieve familiarità col mondo della melodia, una parentela molto vaga, a dire il vero. E' però "Madness" a prendersi la palma d'oro alla follia, snodando i suoi quasi otto minuti in una marcia allucinata lungo le rive dell'Inferno, tra un basso ribollente e le urla inumane della premiata coppia Coleman-Ferguson. Con "Who told you How" si entra invece in officina per una session ad alto contenuto metallurgico, un momento di libero industrial divertissement all'insegna della voglia di sperimentazione. Chiude "Exit", tripudio finale di distorsioni e ritmi incalzanti, per un brano in puro stile Killing Joke che lascia anche intravedere qualche sviluppo creativo futuro.
Con gli otto brani di "What's This For...!", dunque, prosegue degnamente il cammino dello Scherzo nel segno della sperimentazione più sfrenata ed istintiva, che darà al gruppo connotati sempre più unici nel panorama new wave. Se rispetto all'omonimo debutto viene perso qualcosa dell'immediatezza punk, così certo non si può dire della voglia di continuare ad osare e andare sempre più oltre gli schemi del musicalmente consentito. Lontani anni luce da intenzioni commerciali, i Killing Joke fanno musica anche e soprattutto per sé stessi, per capire qual è il limite entro cui ci si può spingere, sempre che ve ne sia uno. Sono loro i veri avanguardisti della corrente, che, impavidi, si spingono sempre più avanti, fra territori primitivi e fatiscenti periferie metropolitane, alla ricerca di qualcosa da catturare, modellare e fare proprio; e tanto più questo qualcosa si avvicinerà agli umori apocalittici di Coleman e soci, tanto più sarà plasmabile a loro immagine e stile. E tanto più ciò che verrà prodotto porterà in sé i germi dell'assurdo, tanto più sarà bello gridare e far gridare ancora una volta "What's this for…!"
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