Di questo album, che conclude una delle numerose fasi della storia dei geniali King Crimson, si è detto di tutto, di più e anche altro: inutile, orribile, grezzo, bootleg e neanche dei migliori ecc... Molti commenti negativi e alcuni forse troppo severi.

"Earthbound" esce infatti in concomitanza dello scioglimento/pausa dopo l'album "Islands", e comprende alcuni estratti dal tour americano del 1972, in un periodo di forti incomprensioni interne nel gruppo, soprattutto per la ormai classica situazione "Robert Fripp contro tutti".

La prima cosa che salta all'orecchio da queste registrazioni è la qualità molto spartana dei suoni, che giustificano la definizione di "bootleg ufficiale" attribuita all'opera. I puristi del suono cristallino potrebbero estrarre dopo 30 secondi l'album dallo stereo o giradischi e precipitarsi a sbarazzarsene nel primo mercatino di modernariato, se non abbandonarlo alla polvere. E sarebbero entrambi dei grossi errori.

La prima traccia è la celeberrima "21st Century Schizoid Man", riproposta in maniera decisamente poco ortodossa, data la forte distorsione e durezza della chitarra di Fripp e le vocals quasi urlate di Boz Burrell, anche bassista per necessità (ma con un buon tocco). La traccia si trascina disordinatamente fino alla successiva canzone inedita, "Peoria", che mette in primo piano la vera sostanza di questo album, ovvero i fiati di Mel Collins che mettono in secondo piano qualsiasi altro strumento. Il pezzo è molto jazzato e sembra quasi un'improvvisazione "svaccata" da sala prove, ma i musicisti ci sanno fare, e si sente.

Il brano successivo è tratto dall'LP "Islands", "A Sailor's Tale": qui si può finalmente godere di una buona prestazione di Fripp e di una generale compattezza della band al completo. Ottimo pezzo, forse il migliore del lotto, se non altro perchè in questo brano viene fuori la personalità di tutti gli strumentisti, altrimenti soffocati dal sax imperante.

"Earthbound", la traccia successiva è simile alla precedente "Peoria", ovvero un jazz-rock improvvisato, dominato dai fiati di Collins; discreto anche se manca di un mordente vero e proprio, causa la struttura non definita del pezzo. L'album si conclude con "Groon", recuperata da qualche b-side della prima ora e riproposta degnamente per chiudere il tutto.

Che dire di una tale opera? Sicuramente le tensioni interne a l'incertezza dell'immediato futuro si sentono, infatti il gruppo si fermerà per qualche mese (per poi tornare a stupire con il grande "Lark's Tongues In Aspic", ed una formazione rinnovata); il cantante Boz Burrell se ne andrà a cercare fortuna con i più digeribili Bad Company e la coppia Collins/Wallace si separerà con astio dal leader.

L'album in sè è indubbiamente poco rifinito (anche l'artwork è modesto, ma elegante), non sposta di una virgola la storia del Re Cremisi, ma per chi conosce a memoria i '70 del gruppo, è indubbiamente un interessante acquisto.

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