Alcuni giorni fa, precisamente Lunedì 9 febbraio, in un ospedale di New York è morto di cancro, a settantacinque anni, Ian McDonald. A celebrazione di questo eccelso musicista intendo prendere spunto da quest’opera che, fra quelle a cui ha contribuito, vede il suo talento risplendere maggiormente e compiutamente.
La Corte del Re Cremisi è considerata, a maggioranza assoluta, la miglior cosa dei King Crimson in tutta la loro frastagliata, altalenante, cinquantenaria carriera: vi sono ragioni da Storia della Musica, (la nascita del Progressive colla P maiuscola avviene qui, ancor nel 1969) e ragioni semplicemente artistiche essendo l’album farcito, almeno all’80%, di immortale musica di qualità.
Il difetto di molti appassionati di rock, compresi gli adoratori persi dei King Crimson e quindi teoricamente ben dentro alle loro dinamiche, è di far risalire al boss del gruppo Robert Fripp tutti, ma proprio tutti, i meriti: Fripp grande chitarrista, compositore, arrangiatore, ricercatore musicale, teoreta, insegnante, influencer, filosofo della musica.
Invece il valore di tale disco, il suo ergersi fra tutti gli altri della formazione, è dovuto proprio all’ambito democratico, quindi per forza di cose effimero, entro il quale è stato generato. Insieme a Fripp vi hanno lavorato infatti due grossi compositori, più bravi di lui (nel senso: più musicali, più istintivi). Uno era il cantante e bassista Greg Lake, l’altro proprio il nostro Ian McDonald, sassofonista flautista e mellotronista.
L’infuocato, memorabile brano di apertura “21th Century Schizoid Man” fa esplodere un riff di nove note: le prime sei ascendenti sono un contributo di Lake, le altre tre, quelle in ascesa cromatica, di McDonald. Di quest’ultimo anche la trovata di inserire, all’inizio della porzione strumentale, una cadenza di sax da lui già composta da tempo e in attesa di trovare un collocamento. L’ottimo Fripp provvede poi ad inserirsi stampando un solo di chitarra fantastico. Il batterista Mike Giles ci mette del suo gonfiando il brano coi suoi interventi schizzati, un po’ disordinati ma in ogni caso personali. Il cantato è di Lake. I testi sci-fi un po’ così sono di Sinfield. Fine. W la democrazia, finché dura.
“I Talk to the Wind” è proprio di McDonald, tutta. Ian avrebbe voluto anche suonarvi la chitarra acustica, strumento col quale l’aveva composta. Ma non si poteva… già aveva il suo bel da fare con sassofoni flauti mellotron e pianoforti… togliere a Bob quella parte non poteva essere materia di discussione. Ma a Fripp una cosa così rilassata e musicale non è mai potuta venire in mente (l’ha sempre detto anche lui: “Il contributo di McDonald al gruppo? Musicalità, musicalità assoluta!”).
“Epitaph” e “The Court of the Crimson King” sono stradominate dal mellotron, nelle mani di McDonald. Non si era mai sentita, e mai si sentirà più nella storia del rock, una tale tonitruanza di questa eccentrica tastiera a nastri. Ci andranno vicino i Genesis con “Fountain of Salmacis” e “Watcher of the Skies”, fra l’altro suonate sulla stessa medesima macchina! (acquistata da Tony Banks ai King Crimson, che ne possedevano ben tre). Le melodie sono di Lake, prevalentemente. Ora, Fripp ci riproverà senza questi due, suonando lui stesso il Mellotron su “Cirkus” e su “Starless” ad esempio, ma non sarà la stessa cosa… le melodie di Lake e l’impatto mellotronistico di McDonald non erano ricreabili da John Wetton e da Fripp con quel livello di musicalità.
L’unico brano in cui Ian non è mattatore è “Moonchild”, non per caso l’unico momento debole dell’album, a causa della lunga, noiosa jam session minimalista messa in coda al breve cantato iniziale. Tutti suonano poco e piano, pure Lake non spinge il suo portentoso vocione e i molti minuti del pezzo restano in categoria sperimentalismo & ricerca, senza assurgere a inni senza tempo come gli altri quattro.
Un incubo, personalmente, percorrere la carriera di siffatto musicista e constatare che, oltre a questo discone coi Crimso e tre altri coi Foreigner, anch’essi provvisti di autentico boss nella persona del chitarrista Mick Jones, non rimane quasi nient’altro: un disco solista assai debole, collaborazioni qua e là (anche con gli stessi King Crimson, in “Red”) e nessun altro acuto. Come dice l’amico barista di Noodles quando se lo vede ritornare dopo tanti anni, anziano e amareggiato: “Io avrei scommesso su di te!”.
“E avresti perso…” gli dice Noodles. Ci avrei scommesso su McDonald; invece nel 1969, a ventitré anni, aveva tirato già fuori il meglio della sua carriera. Negli altri cinquantadue ha fatto come Noodles, è sparito. Ma magari ha avuto una vita felice, una buona famiglia, dei buoni amici, tante altre cose di cui andare fiero…
Grazie, Ian.
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