Nel 1972 Fripp subì una crisi intellettuale che lo portò a distruggere e ricreare la band che rappresentava il suo stesso pensiero e il suo stesso modo di creare musica, i King Crimson. Per il progetto dei nuovi Crimson, chiamò il bassista/cantante di estrazione rock John Wetton, il batterista degli Yes Bill Bruford, il violinista David Cross, ed il geniale pazzoide percussionista Jamie Muir della Music Improvisation Company. Ciò che ne seguii fu un mutamento stilistico che passò dalle sonorità epiche e classicheggianti, ormai divenute un cliché tanto grande da portarsi appresso una schiera di gruppi tale da far parlare di vero e proprio genere (quello che sarà chiamato Rock Sinfonico), a sonorità aspre puramente jazz-rock, vicine a quell’onda elettrica nata da Miles e sviluppatasi nei vari Weather Report e (soprattutto) Mahavishnu Orchestra, fatte coesistere alle tecniche contrappuntistiche di Bartok ed agli sperimentalismi dell’avanguardia classica nella sua interezza (Steve Reich su tutti) con richiami esotici e improvvisazioni free jazz alla Derek Bailey (infatti il percussionista Jamie Muir fu suo gregario nella sua Music Improvvisation Company).
Questo mutamento stilistico fu parallelo ad un mutamento più profondo di carattere “filosofico”: dai vecchi testi caratterizzati da favole cavalleresche adatte alla filosofia hippy del “con un sorriso possiamo salvare il mondo”, a testi più concreti ma dal significato ugualmente universale, conseguenza di una consapevolezza maggiore rispetto al passato e dalla comprensione che le fiabe dei “figli dei fiori” non sono diventate altre che inutili chimere al servizio di una moda capace non solo di favorire apatia ed inerzia dal punto di vista politico, ma anche capace di appiattire e mutilare offerte musicali che non rispettino canoni condivisi dal movimento. Ma la forza del disco sta nel fatto che la rivoluzione non è sempre gridata o sfacciata come quella dei vari Zappa, né colonna portante del disco, ma finemente celata, riuscendo così a non rinunciare ad esprimersi cliché già in uso dai vecchi King Crimson.
L’album inizia con “Larks’ Tongues in Aspic pt. I” il pezzo più bello della storia Cremisi, a mio avviso il più bello della storia della musica: in un brano dalla durata di 13 minuti la rivoluzionata formazione Crimson riesce a riassumere stili e tendenze dei 70 anni addietro fondendole con le innovazioni più avanguardiste del periodo: gli sperimentalismi Reichiani del phasing percussivo iniziale fanno da introduzione al grande riff Hard Rock della chitarra tagliente di Fripp e del basso distorto di Wetton, in cui la tensione emotiva sale fino ad esplodere. Un senso di angoscia viene più che mai suggeritoci dal violino di Cross. Le percussioni ci stordiscono fungendo da elemento di disturbo. Non sembra esserci possibile risoluzione… finché un arpeggio di Fripp spezza totalmente la tensione proiettandoci nelle più tipiche sonorità jazz-rock, in cui la coppia ritmica Muir-Bruford si esibisce nella più grande prova percussiva mai registrata: la raffinatezza e l’anticonvenzionalità di Bruford sono il perfetto sfondo alla sperimentazione free jazz di Muir, di modo che laddove uno ci trascini e ci travolga, l’altro ci possa sconvolgere con un colore e delle sfumature sinora mai sentite… essi diventano così i veri protagonisti, che però, senza risultare esasperanti, non coprono i fraseggi degli altri strumentisti. E proprio nel momento in cui si pensa che non ci sia soluzione di continuità per questa esplosione emotiva, il gruppo si ferma, lasciandoci un senso di incompiutezza che la seguente e lunga improvvisazione di violino manterrà fino al delicato finale in cui Fripp con i soi placidi arpeggi ammaliatori, ipnotici sussurri incomprensibili ed una delicata campanella rilasseranno la mente ormai stanca chiudendo definitivamente uno dei pezzi più alti della storia della musica.
Più esplicita è l’esotica “Easy Money”, la cui forza innovativa è all’apice durante l’assolo di Fripp, che condivide la parte solista pur facendola da padrone con le percussioni funamboliche di Jamie Muir e il sottofondo accattivante della batteria di Bill Bruford. Ed è con questo spirito che si affronteranno ballate malinconiche come “Book of Saturday”, splendida gemma dalla durata di 3 minuti in cui gli arpeggi di Fripp dimostrano quanto il luogo comune sulla sua presunta personalità scontrosa sia infondato, o la lunga “Exiles”, in cui il lirismo dell’intera band è in luce, lasciando però la parte del leone a Robert Fripp, che si esibisce in un lungo ma semplice assolo da brividi. Esse sono pure dimostrazioni di come la semplicità apparente, la grande potenza evocativa, l’orecchiabilità, e la concretezza dei testi possano far coesistere la grande carica rivoluzionaria. La penultima traccia “The Talking Drum” è un’ esotica ed ipnotizzante escalation musicale in cui Fripp e Cross dominano la scena sul fondo dell’ ossessivo basso di Wetton e della colorita sezione ritmica. Naturale risoluzione della trascinante carica del pezzo è la devastante ed innovativa “Larks’ Tongues in Aspic pt. II”, pezzo strumentale scritto dal solo Fripp dalle sonorità fortemente Hard Rock, che sarà successivamente ripresa nelle formazioni Cremisi future per la sua attualità e carica simbolica.
A mio avviso uno degli album più belli della storia, viene tuttora sottovalutato e considerato semplicemente un “bell’album” per la mitezza della sua rivoluzione, che, invece, dovrebbe rappresentare il motivo per cui amarlo.
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