Opera centrale della trilogia prog-metal dei Crimson, "Starless and Bible Black" (titolo preso in prestito da Dylan Thomas) è, in effetti, un live mascherato da album di studio; la maggior parte dei brani, infatti, sono registrazioni live (sopratutto dal concerto del 1973 all'Amsterdam ConcertGebow, poi presentato integralmente nel postumo "The Night Watch") e costituiscono così la prima testimonianza della frenetica attività concertistica del gruppo nell'ormai lontano '73.
I tre brani di studio (con testi di Palmer-James) sono, quasi, tutti degni di nota. L'apertura di "The Great Deceiver" lascia senza fiato: al poderoso attacco di basso e violino segue il supersonico ostinato della chitarra di Fripp che martella senza sosta questo sarcastico brano dedicato ad un personaggio realmente "diabolico"; sarebbe potuto essere un hit-single, se mai la band ne avesse avuto uno. Uscita, invece, come singolo, "The Nnight Watch" è una colta ballad narrante la vita del pittore Rembrandt ed i suoi difficili rapporti con la borghesia dell'epoca, che egli poi ha rappresentato nei suoi quadri (come appunto "La ronda notturna"). Musicalmentè è un piccolo capolavoro: dalla meravigliosa introduzione (registrata dal vivo) con l'arpeggio velocissimo di Fripp ed il grezzo violino di Cross al bellissimo assolo del chitarrista nella parte centrale. Un gradino sotto c'è, infine, "Lament", una nervosa ballad-autoconfessione da bluesman con frenetica coda finale (da segnalare, comunque, l'ottima interpretazione vocale di Wetton). I brani strumentali, dal canto loro, offrono un ventaglio della proposta musicale del gruppo: "We'll Let You Know" è un pò il prototipo delle loro improvvisazioni che dal caos primordiale iniziale gradualmente passano ad un accenno ritmico o melodico riconoscibile (migliore, in questo senso, la successiva "Providence" su "Red"); un pò lo stesso andamento seguono la delicata "Trio" (in cui dialogano in modo sublime il basso di Wetton, l'organo di Fripp ed il violino country di Cross); la sfuggente "The Mincer" (che si interrompe bruscamente nel finale) e la tenebrosa title track. Quest'ultima serve poi da introduzione al capolavoro dell'album, nonchè ad uno dei migliori strumentali dei crimson: "Fracture". Trattasi non di un brano improvvisato ma di una meticolosa e calcolatissima composizione in cui l'indubbia maestria dei musicisti è messa al servizio della "disciplina" musicale frippiana. È sopratutto in brani come questo (nelle sue complicazioni metriche, nei campi di tempo, nelle armonie esotiche) che si palesa l'influenza di Bartok e Stravinski sulla musica del gruppo.
In conclusione un album che risulta essere testimonianza del momento migliore della band inglese ma che, a mio modestissimo parere, risulta anche non avere un'identità definita: troppo imperfetto per essere un ottimo studio-album (come "Larks"... ), troppo sommario per documentare degnamente le performances live al calor bianco del miglior gruppo progressive che la storia del rock ricordi.
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