Siamo nel 1996.
Da un paio d'anni Robert Fripp ha rimesso in moto il "Re Cremisi", con un disco (THRAK, del quale esiste una recensione su DeBaser che non mi sento certo di consigliarvi) e una serie di concerti in giro per il mondo. La formazione è quantomai anomala: alla base c'è il quartetto che formava il gruppo negli anni '80 (Robert Fripp alla chitarra e soundscapes, Adrian Belew chitarra e voce, Bill Bruford alla batteria e Tony Levin al basso e allo stick), arricchito però da un ulteriore batterista, Pat Mastelotto, ed un bassista-chitarrista (che suona per lo più lo stick o la Warr Guitar), Trey Gunn. La particolarità è che i sei strumentisti (un "doppio trio", come li definì Fripp stesso) non suonano alternandosi, né suonano contemporaneamente le stesse cose. Semplicemente suonano parti che si incastrano fra di loro, si contrappuntano, si compenetrano.
Questa formazione registra, come dicevo, un ottimo album, THRAK, e lo porta in tour. I King Crimson sono sempre stati principalmente una "live band", e Fripp lo sa bene, così come sa quale apporto ha avuto l'improvvisazione nel sound del gruppo, soprattutto negli anni '70. Per questo, durante i tour del 1995 e del 1996, propone agli altri cinque musicisti di lasciarsi andare nei concerti a delle improvvisazioni, totalmente libere, concentrate però durante un solo brano, THRAK per l'appunto.
Ora, sarà il fatto che THRAK è un brano confusionario già di per sé, sarà che improvvisare in sei non è propriamente facile, sarà non so cos'altro, fatto sta che le improvvisazioni che ne nascono ("thraking", nel gergo di Fripp) sono caotiche oltre ogni misura, totalmente anarchiche, al punto che talvolta per la band è addirittura impossibile ritornare alla fine al tema iniziale del brano.
Questa mancanza di capacità improvvisativa sarà uno dei maggiori difetti del doppio trio, e ne sancirà poi la fine, ma prima di mettere la pietra tombale su questa ambigua formazione Fripp decide di pubblicare un documento a testimonianza di questo "esperimento fallito", THRaKaTTaK.
Ecco quindi l'origine di questo live di 57 minuti composto quasi interamente da musica totalmente destrutturata. Si parte ovviamente, con il primo brano, da THRAK, ma quando arriva il momento dell'improvvisazione centrale si dipana un tappeto sonoro infinito, ricavato mixando abilmente i "trakings" registrati in varie serate. L'ascolto è una vera e propria maratona, occorre lasciarsi totalmente andare alla musica, un po' come quando si ascolta certo "free-jazz". La mancanza di un filo conduttore è evidente, eppure basta concentrarsi su un singolo strumento per capire che, in effetti, ognuno dei musicisti prova a proporre la sua linea melodica. E' la coesione che manca, quella che Fripp ricercherà disperatamente nei quattro ProjeKcts che seguiranno, fino a ritrovarla nel doppio duo negli anni seguenti.
Che cosa resta, alla fine, di questo THRaKaTTaK? Resta la cronaca di un esperimento fallito, ma una cronaca lucida e onesta (lo stesso Fripp si chiese, qualche mese prima dell'uscita del disco, quanti fans avrebbe perduto pubblicando materiale del genere). Una specie di relazione di laboratorio fatta con cura estrema e passione infinita anche se la reazione non è riuscita come sperato. Non sarà un disco da cinque stelle, ma tre se le merita tutte. Per la coerenza, innanzitutto, ma anche per aver mostrato come dopo quasi trent'anni di carriera i King Crimson non fossero un dinosauro, ma un agile topolino pronto a nascondersi proprio negli anfratti più bui e più nascosti.
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