"Them", terzo lavoro solista del Re Diamante, è senza dubbio una delle più inquietanti opere metal mai concepite, sicuramente uno dei progetti piu' complessi e ambiziosi del nostro che si sviluppa in due parti (il seguito in "Conspiracy"), geniale per liriche e musica, un concentrato di classy heavy metal genuino e brillante, maligno e accattivante, potente e sinistro.

King Diamond, ancora accompagnato dal fido e sempre ispirato Andy LaRocque e dalla solita macchina schiacciasassi di Mikkey Dee, sostituisce rispetto al precedente "Abigail" Timi Hansen con Hal Patino al basso e Michael Denner con Pete Blakk, per una che, con ogni probabilità, è tra le più tecniche formazioni del suo periodo solista.

Ancora una volta oscuro, mistero e drammi psicologici sono il fulcro della agghiacciante trama forse autobiografica che accompagnano magistralmente le linee melodiche dei vari momenti del platter, creando un unicum inscindibile di un impatto emotivo potente e di raro fascino. L'ennesima dimostrazione della bravura del nostro nel creare capolavori su tutti i fronti, compositivo e lirico.

Il protagonista della storia macabra su cui ruota Them questa volta è King, un ragazzino, e sulle strane vicende che si sviluppano in seguito al ritorno a casa di sua nonna, una malvagia megera reduce da un ricovero in manicomio per imprecisati problemi mentali. La inquietante "Out From The Asylum" a questo proposito crea subito una gelida atmosfera resa ancora più oscura dalla voce di un King Diamond quasi posseduto. Ovviamente i problemi mentali della nonna non sono affatto guariti dal momento che, una volta a casa (la tellurica e tonante "Welcome Home"), continua a parlare con oscure e malefiche presenze invisibili che la posseggono, la guidano, la schiavizzano. "The invisibile Guest", a questo proposito, con un riff massiccio, il groove decisamente spigoloso grazie ai suoi cambi di ritmo e la solita sapiente miscela di assoli maestosamente maligni è una perla di equilibrio e sapienza compositiva.

Ma torniamo alla storia. Ogni sera per render omaggio a loro (appunto "Them" da cui il titolo dell'LP) GrandMà appunto li prepara del tè aggiungendovi del sangue umano, che preleva nel sonno dal piccolo King e da sua madre. La maligna "Thea" con il suo incedere venefico, il refrain molto intrigante grazie al falsetto e lo stacco centrale quadrato sono l'ennesima mazzata metal inferta all'ascoltatore. Lo scellerato rituale deve esser perpetrato e non può conoscere sosta alcuna e allora implacabilmente ancora altro sangue innocente viene versato. Infatti, Missy, la sorella di King, si accorge di questa orribile pratica e cerca di fermarla. Invano. La nonna posseduta dagli spiriti la uccide spietatamente ("Mother's Getting Weaker" e "Bye Bye Missy"). Fortunatamente King comunque riesce in qualche modo a sfuggire. Ormai la pratica sacrificale non potrà più aver luogo ("A Broken Spell"). King avvisa dunque la polizia e viene preso in custodia da un certo dottor Landau, psicologo, a cui racconta la storia. "The Accusation Chair" e la successiva tenebrosa strumentale "Them" sono l'ottima cornice allo spettrale racconto di King e dei suoi peggiori incubi, al suo angosciante psicodramma che prende forma sinuoso ed inevitabile.

Chiaramente Landau non gli crede per niente e anzi pensa seriamente che King abbia seri problemi mentali e decide di ricoverarlo in un manicomio (lo stesso in cui era stata tenuta la nonna precedentemente) in cui rimane per 9 anni (la spettrale e angosciante "Twilight Symphony"). Quando esce, con il cervello devastato da farmaci e quant'altro, riemergono lentamente e angoscianti delle visioni del passato che assumono sempre più col tempo contorni vividi, finché dopo altri 9 anni una telefonata da parte della nonna che credeva morta e che odia profondamente lo sconvolgono, quasi paralizzandolo ."Phone Call" con la voce di Diamond che imita la nonna in maniera agghiacciante è da applausi: da mano gelida sulla schiena.

Insomma, ancora una volta King Diamond riesce a sfornare un'incredibile concept album di altissimo livello, tiratissimo e senza cali di ispirazione - stupendo già a partire dalla copertina - in cui rende in musica tutti i suoi incubi horror, grazie anche alla bravura di Pete Blakk e LaRoque, che sforna una prestazione superlativa e firma col singer la metà dei pezzi presenti sul platter, e grazie ai soliti riuscitissimi trucchi vocali, quali il sussurrare e gracchiare mefitico sapientemente misurati, ormai suo marchio di fabbrica inconfondibile insieme al falsetto. L'ennesimo lungo viaggio nella mente malata di un songwriter metal dotato sicuramente della più fervida immaginazione tra porte che cigolano, pianoforti scordati nervosamente martellati, folate di vento misteriose, comparti ritmici come possenti tritacarne, voci dall'oltretomba che terrorizzano e assoli come asce che nell'oscurità aspettano taglienti la loro prossima vittima.

Al prossimo incubo!

See Ya!

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