Si può essere originali senza inventare nulla? Risultare moderni dopo un triplo carpiato con doppio avvitamento nei seventies? Ma soprattutto … è possibile mescolare generi, epoche e suoni diversi senza sembrare confusionari o eccessivi e al contrario riuscendo a far prevalere la propria identità musicale?
Se aspettate che mi sbilanci in risposte inequivocabili cascate male. Da perfetto equilibrista quale sono, proseguo senza indugi lungo la fune e passo la clavetta a John Bassett, aka KingBathmat.
“Fantastic Freak Show Carnival”, terzo lavoro del polistrumentista britannico, è la possibile risposta alle ansie ed inquietudini di cui sopra. Una rock opera atipica, sprovvista di un concept lineare, che si sviluppa piuttosto nel viaggio allegorico in una fantomatica Freak Show Town cosparsa di reietti, drogati, malati mentali e fottuti Casi Umani Debaseriani. Storie di ordinaria disperazione dei diversi e disadattati, “facce derubate di tutto" da una realtà deforme che preclude ogni minima speranza di riscatto.
Alla drammaticità di un tema così delicato si contrappongono le ambientazioni surreali create da Bassett, che rielaborano la forza visionaria dei Beatles inaciditi di fine anni sessanta, soprattutto nelle melodie caramellate e nella costruzione di armonie vocali straordinariamente orecchiabili. Un bizzarro esperanto rock pervaso dal sacro fuoco della psichedelia, che a tratti si fa morbida e in altri invece scalcia e scalpita. Le chitarre a tessere un riffing che sa essere animale e mostrare le zanne, per poi all’improvviso farsi docile ed abbandonarsi a melodie sognanti, imbrattate di una malinconia agrodolce. E poi nuvole di synth, cariche di piogge acide e lampi elettronici, a confondere i sensi ormai intorpiditi dell’ascoltatore.
“FFSC” è un disco compatto e senza cali di tono, che riesce ad unire l’immediatezza del brit pop meno convenzionale (tipo Mansun o Doves, per intenderci) all’imprevedibilità di un certo progressive d’annata, senza comunque trascinarsi dietro gli eccessi di forme e virtuosismi di quest’ultimo. E’ proprio la conclusiva “Soul Searching Song”, probabilmente la composizione migliore del lotto, a riassumere il verbo musicale di KingBathmat. Un brano lungo e dilatato, dai toni sgargianti e dai molteplici umori. L’ultimo trip lisergico prima del delirio.
Lasciate ogni speranza voi ch’entrate in questo mondo allucinato.
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