I Kings Of Leon avevano bisogno di una sintesi sonora definitiva per arrivare ad una compiutezza che sembrava sfuggire nelle ultime prove in studio.
Il precedente “WALLS”, uscito ormai tre anni fa, era un bel disco ma forse troppo pulito e cristallino per accompagnare adeguatamente la fenomenale voce di Caleb Followill; l’ancor precedente “Mechanical Bull” spingeva spesso e volentieri sull’acceleratore anche in maniera convincente, ma soffriva forse troppo di una certa schizofrenia sonora.
Con l’aiuto del riconfermato Markus Dravs alle manopole, i Followill Boys riescono nell’impresa con questo nuovo “When You See Yourself”, che oltretutto arriva dopo la doppia arrampicata alla numero uno (UK e USA) del precedente disco. Il nuovo album è infatti un lavoro che affonda le radici nel glorioso passato della band statunitense, con però un occhio ad un presente che parla una lingua più composita ma non per questo meno efficace.
Le prime note della semi-title track aprono un album compatto e compiuto, con poche accelerate decise (i due bellissimi singoli “The Bandit” e “Echoing”, con la prima che farà ultrafelici i fans dei primi due indimenticabili album, mentre la seconda non dà tregua un solo istante con un riff martellante ad accompagnare l’ennesima interpretazione impeccabile di Caleb) e tanti brani che si prendono un ampio spazio per raccontare le proprie storie (si scende raramente sotto i quattro minuti di durata, come nella bella “A Wave”).
Il linguaggio musicale scelto è sempre quello appropriato, e tutti gli incastri vanno a formare un ingranaggio perfettamente oliato e funzionante: che propongano un qualcosa che va a pescare nell’ormai ricco passato dei quattro di Nashville, come nel caso di “Golden Restless Age” e “Stormy Weather”, o che guardino con curiosità verso un ipotetico futuro, come nell’altro estratto “100,000 People” - che va a proporre una tastiera un po’ alla Eno - , i Kings Of Leon affascinano come non facevano da tempo e ci regalano un bel quadro dai colori variegati ma coerenti l’uno con l’altro.
E poco importa se “Claire & Eddie” abusa un po’ troppo di un certo insistito recupero del country, o se “Fairytale” chiude un po’ troppo frettolosamente il discorso (anche se con le atmosfere giuste, soffuse e sussurrate); i KOL sono tornati decisamente tra noi, e lo hanno fatto davvero in grande stile.
Brano migliore: Echoing
Carico i commenti... con calma