E' sera tarda. Riascolto quest'album per la (boh!!) quarantesima volta e credo davvero che sia un gioiello. Niente più niente meno. I Kinski hanno cambiato faccia. Non più lo sperimentalismo quasi cacofonico e post-rock dei primi quattro lavori, non più il calderone organico (dentro c'è davvero di tutto: dallo stoner, al kraut, al noise) di "Alpine Static". Un omaggio invece alle sonorità sessantiane/settantiane. Ne esce come ripeto un gioiello. Una rivoluzione del loro sound mirabile ed allucinante. Una dimostrazione concreta della poliedricità di questo quartetto di Seattle (questo è il terzo disco per la Sub Pop).

 Un suono magmatico e magnetico, veemente ed oltraggioso, che non può non commuovere, un album d'altri tempi insomma. Ho letto da qualche parte che i Kinski di "Down Below It's Chaos" sono i Blue Cheer dei giorni nostri sottoposti ad una cura shoegaze. Sì, lo so, queste due parole non suonano troppo bene vicino anzi.... ma  quello che ne viene fuori è clamoroso. Certo rende più l'idea della definizione dell'NME: "i Sabbath centrifugati in lavatrice"!! L'album è prodotto da Randall Dunn (Earth, Sunn O))), Boris) e quando ho saputo ciò ho subito immaginato un "muro" psichedelico intransigente anche ricordandomi le vecchie sonorità del gruppo. Qua invece la psichedelia è chiaramente messa al servizio della melodia che esplode prorompente da ogni pezzo sia esso una sparata chitarristica di tre minuti (Crybaby Blowout, Punching Goodbye Out Front) oppure una lunga progressione fluorescente e dilatata (Boy, Was I Mad!, Silent Byker Type). Scontato ma perfetto definirlo un viaggio è altresì un nobile tentativo di attualizzare il flusso psichedelico a cavallo degli anni '60/'70. Groove lenti e giganteschi che esplodono in orge fuzz mentre gli sparuti inserti vocali (anche questi una novità) sono effettati e filtrati, provengono da una dimensione che non è esattamente la nostra, una dimensione alla quale è intrinseco una sfasamento spazio-temporale dallo straordinario effetto bucolico/psichedelico. Insomma non facilmente classificabili, anzi direi quasi impossibile inserirli in un movimento. Tanto per darvi un idea questi sono i gruppi con cui sono andati in tour: Mission of Burma, Comets on Fire, Oneida, Mono, Acid Mother Temple (con cui hanno registrato anche uno split), Black Mountain ed ultimamente Tool. Dentro questi 45 minuti si trova un po' di tutto: sfuriate stoner, svisate chiarristiche, progressioni ambientali, aperture sfacciatamente post-rock, puro delirio rock e quant'altro riesca a venirvi in mente. Ma la piccola rivoluzione è che tutto ciò suona compatto e potente e sorpresa sorpresa quasi catchy.

 L'inclusione dell'organo è praticamente indolore. Un matrimonio all'apparenza difficile ma che nella pratica funziona invece più che egregiamente, giocando sull'alternanza di pieni e vuoti sonori, così come sul contrasto con il rifferama fuzz della chitarra che ora emerge in tutta la sua potenza, ora sfuma in un caldo e suadente arpeggio e comunque sia irradia vibrazioni sature di elettricità cosmica e potere allucinogeno. 

La musica dei Kinski è in moto perpetuo dunque e svela all'istante il suo essere visionaria ed ipnotica. Inquieti e coraggiosi sperimentatori Chris Martin e soci riescono ancora una volta a stupire. In questo caso accostandosi a lidi decisamente più concreti e rock con eclettismo, varietà stilistica ed originalità.  Evidenziando  galassie musicali per molti versi già viste in precedenza ma ammettiamolo, in nuove combinazioni. Artigianato rock di superba fattura quello dei Kinski forse non sempre ben focalizzato, riserva però tali e tante sorprese da valer bene l'ascolto. Vi troverete davanti ad un universo sonoro stratificato, fragoroso, multiforme ma allo stesso tempo instabile ed in continua espansione.

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