"Invisible Front. 2005" del 2004 (!!!) consolida quella che può essere definita la terza reincarnazione dell'entità Kirlian Camera (incarnazione che troverà la definitiva consacrazione nel successivo, bellissimo "Coroner's Sun", del 2006). 

Se i KC nascono e si sviluppano negli anni ottanta attorno alla figura carismatica di Angelo Bergamini, e negli anni novanta, anche e soprattutto grazie all'innesto di Emilia Lo Iacono, il progetto assumerà connotazioni stilistiche più ampie, la terza fase della carriera dei KC viene a caratterizzarsi per il sodalizio artistico con la cantante/compositrice Elena Alice Fossi, che a partire da "Unidentified Light" del 1999 andrà a ricoprire un ruolo sempre crescente all'interno della formazione parmense.

All'alba del nuovo millennio Bergamini e la Fossi sono oramai un motore perfettamente rodato. Le trame elettroniche del primo si fondono alla perfezione con le sublimi evoluzioni canore della seconda, a proprio agio sia nei panni della cantante lirica che nelle vesti della trasgressiva dark-lady.

"Invisible Front. 2005" è un prodotto dai contorni armoniosi ed impeccabile nella forma. Fa tanto il mestiere di Bergamini, musicista accorto e smaliziato, anche se, è bene sempre ricordarlo, l'impegno e la passione profuse da sempre nel proprio lavoro, fanno sì che la musica dell'artista emiliano non suoni mai come sterile riciclaggio di idee e soluzioni del passato: i KC conservano miracolosamente il loro smalto e la loro brillantezza, e questo perché Angelo Bergamini compone per se stesso, pensando a se stesso, inseguendo le sue ispirazioni e le sue visioni. Ed i KC sono semplicemente l'espressione del suo talento puro ed incontaminato.

Se proprio dobbiamo rinvenire un difetto nell'opera, è forse quello di indugiare eccessivamente su certe sonorità più propriamente easy-listening che traghettano il sound dei KC verso i lidi di un sofisticato synth-pop d'autore.

Ne è una prova la fantasmagorica "K-Pax", manifesto di questo nuovo corso dei KC: base tunzettona e pomposi arrangiamenti al servizio della divina Fossi, sorta di Patti Pravo dell'iperspazio, che con disinvoltura alterna volteggi da sirena spaziale a calate più marcatamente darkeggianti (ricordiamoci dei trascorsi punk della cantante). Quel che ne esce è un brano che fa letteralmente le scarpe al 90% dei pezzi EBM, electro-goth, disco, pop, attualmente in circolazione. Un inizio con i botti, potremmo dire, anche se nella prima parte dell'opera sarò facile imbattersi in brani forse un po' troppo zuccherosi per i nostri gusti, come la ruffiana "Dead Zone in the Sky", o il classico "The Path of Flowers", una mesta ballata cosmica dove un sofferente Bergamini, effettato come sempre, ci offre una delle sue migliori prestazioni canore di sempre. E se in molti storceranno il naso, è bene ricordare che anche nei momenti più spudoratamente piacioni i KC non deludono quanto a professionalità e capacità di trasmettere emozioni.

Le fascinose ambientazioni spaziali, del resto, non vengono abbandonate: i brani conservano un'ispirazione siderale che negli anni ha costituito il vero trade-mark della band, nonostante in "K -Space- Y 1" si preferisca imbracciare la chitarra acustica per stanare un etereo folk dai vaghi rimandi al prog di fine anni sessanta (ma nemmeno questa è una novità in casa KC, anche se i brani eseguiti in passato dalla Lo Iacono sembravano ispirarsi più che altro ad un dark/folk di matrice apocalittica). 

A prevalere, tuttavia, sono le partiture ariose delle tastiere, dal limpido gusto paesaggistico, e i rumori, le voci, le frequenze disturbate provenienti dagli oscuri meandri di uno spazio ignoto ed enigmatico. La stessa "Nefertiti One", manifesto ideologico dell'opera, ci parla di una navetta lanciata nello spazio nell'anno 2005, contenente la riproduzione del corpo di una bellissima donna di trentatre anni, come testimonianza della bellezza umana, ad uso e consumo di altre eventuali forme di vita: un'ideale di bellezza e purezza da salvaguardare che va a rappresentare la visione elitaria ed inevitabilmente pessimistica di Bergamini, fortemente critico nei confronti dell'attuale società massificata, instupidita dai media, vergognosamente impantanata in un inesorabile declino culturale e spirituale.    

Un album avvolgente, ammaliante, questo "Invisible Front. 2005", che rinuncia all'ermetismo che prevaleva nella produzione del passato, ma che evita al contempo di scadere nella mera banalità. Nello scorcio finale, per esempio, il cammino dei due prende una piega maggiormente sperimentale, recuperando le suggestioni cosmico-industriali degli anni novanta, dove a prevalere sono le atmosfere rarefatte, i beat elettronici di Bergamini e i cori della Fossi, sensuale angelo dell'Apocalisse.

In questa ultima manciata di pezzi svetta la strabiliante "A Woman's Dreams", che ospita niente meno che l'ugola morbosa della grandissima Jarboe, rinomata musa degli Swans. Bergamini e la Fossi (brava pure dietro a tastiere e campionatori) allestiscono un viaggio allucinante in cui sarà facile perdersi e scomparire fra le spire di un'elettronica ribollente, impetuosa, in grado di crescere e sommergere (ma non affogare!) una Jarboe in stato di grazia che, fra sacro e profano, sciorina saggi di autentico, liquido disagio esistenziale.

Un'ospite illustre (e non è la sola, né la prima!) che va a rimarcare, se ce n'era bisogno, l'alto valore intrinseco e la rispettabilità di cui gode il progetto anche a livello internazionale.

Bergamini piace alla gente che piace! E voi piacete?

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